Quando Cesare prese la battaglia navale alla lettera
Anche a condottieri piace giocare. E nessuno che abbia osato dirgli che bastavano due fogli e una penna.
Cesare aveva infilato quattro vittorie consecutive, quattro trionfi militari troppo colossali per essere veri. L’ultimo era stato a Zela contro Farnace. Ci si mise la stupidità dell’avversario, ma Cesare annientò le sue truppe con una tale velocità da scrivere all’amico Mazio il celebre detto “veni, vidi, vici”. Una simile impresa meritava di essere celebrata e festeggiata come mai prima d’ora, e Cesare si mise d’impegno per immaginare qualcosa di colossale, di talmente impensabile da rimanere impresso nella Storia e ineguagliato.
Di norma, quando un generale sfilava per le strade di Roma, ai legionari era concessa la tradizionale carmina triumphalia.
Chi aveva combattuto di fianco a Cesare poteva intonare cori goliardi a metà tra la celebrazione e la derisione. A Cesare cantarono «Cittadini, sorvegliate le vostre donne, vi portiamo l’adultero calvo! In Gallia, oh Cesare, hai dissipato con le donne il denaro che qui hai preso in prestito». Era vero, e non solo; Cesare era bisessuale, e i legionari non se lo lasciarono sfuggire: «Cesare, hai sottomesso le Gallie, ma Nicomede ha sottomesso Cesare! Colui che ha sottomesso le Gallie trionfa, mentre Nicomede no!»
Come tutti i generali, Cesare tollerava.
Ma era un tipo competitivo, e doveva primeggiare anche nel festeggiamento. È strano immaginare uno dei più grandi guerrieri, strateghi e condottieri a lambiccarsi il cervello per fare una festa, eppure Cesare riuscì a fare Cesare pure lì. Giunto a Roma organizzò i soliti spettacoli di teatro, combattimenti tra gladiatori, banchetti luculliani, orgie e parate militari, ma non era abbastanza. Mentre Roma festeggiava, ordinò di scavare un tratto del Campo Marzio e allagarlo, poi fece spostare una piccola flotta di navi militari composte da biremi, triremi e quadriremi.
Aveva fondato la naumachia.
Le navi sarebbero stare riempite di prigionieri e condannati a morte, ma lasciò libero accesso a chi volesse combatterci dentro per amor d’adrenalina o a caccia di gloria. Divise le squadre vestendole tra egizi e fenici, in modo che gli spettatori non partissero già prevenuti con il tifo. Poi invitò tutta Roma ad assistere a una vera battaglia navale su terra. Le strade si riempirono di gente che rimase schiacciata pur di riuscire ad assistere alla grandiosità dell’evento, che ebbe luogo all’orario previsto, senza incidenti e con un risultato ben oltre ogni aspettativa.
Del resto la scelta dei marinai e dei guerrieri era stata felice: se devi morire o vuoi rischiare di morire, quando ti ricapita di poterlo fare in uno scenario del genere, sotto gli occhi dell’intera Roma imperiale, e tra gli spalti uno dei più grandi condottieri dell’Umanità? Fu un massacro, naturalmente, maestoso e costoso oltre l’immaginabile che polverizzò qualsiasi festa precedente. Dopo di lui Augusto, Claudio, Domiziano e Traiano emularono più o meno bene la sua idea, che venne replicata nei secoli in ogni parte d’Europa.
L’ultima fu fatta a Parigi nel 1807.