Gli anni ’90 sono stati la nostra infanzia, anni più semplici e spensierati, quando ci sapevamo divertire senza Internet o i cellulari. Uscivamo di casa e c’ammazzavamo di botte per un pallone, prendevamo in giro i ciccioni, dicevamo handicappato, mongolo, nero con la G. Telefonate anonime dalla cabina telefonica alla tizia carina perché correva voce si masturbasse, finché la famiglia ha dovuto cambiare numero di casa.
E avevamo gli zaini Invicta.
Erano anni stupendi in cui si poteva deridere i figli delle famiglie povere che compravano le imitazioni. Quando passavamo la ricreazione a pigliare per il culo quello bocciato, la bambina obesa che aveva le eruzioni cutanee dallo stress, quello che s’era sparsa la voce ce l’avesse piccolo e alla fine s’è buttato dalla gru. Erano tempi magici in cui se i bambini non parlavano non c’erano storie su Instagram o post su Facebook: solo sana omertà di bimbi e genitori.
Tentavamo in tutti i modi di somigliare o emulare personaggi di serie TV che più stereotipati di così c’era giusto un manichino, e solo i Prophilax, molti anni dopo, ci permetteranno di interrompere la psicoterapia. Erano anni in cui potevi tirare una mano sul culo a una donna e quella al massimo ti tirava una sberla, sai che roba. Potevi darle della cortigiana con due T e lei arrossiva e allungava il passo.
E i cartoni animati che ci mostravano padri decapitati, stupri e incesti.
Sei degli anni ’90 se ti ricordi minorenni smutandate che ammiccavano alla telecamera, i film divertentissimi dove le donne erano o suore mancate o ninfomani realizzate, e le ragazze giovani erano sempre innamorate di vecchi piscioni, L’omosessualità era un indizio di colpevolezza in qualsiasi fiction che si rispetti. I computer erano cassoni immondi a cui bisognava caricare i driver del CD-ROM, un masterizzatore costava 25 milioni di lire e non esistevano tutorial, perciò potevi venire scannato da “tecnici” che avevano solo letto le istruzioni.
Le discoteche erano considerate un posto auspicabile dove andare la domenica pomeriggio. C’era davvero gente che pagava per entrare a ballare Telecom-ITALLLia, o La magica bambina fotonnni-ca. Dalle casse partivano cose simili e nessuno si affrettava ad accoltellare il DJ.
Nessuno chiedeva un bombardamento a tappeto.
Era considerata musica.
Poi non possiamo dimenticare le paste, gli acidi, la mancanza di etilometri che ha permesso alle matricole della facoltà di Medicina di esercitarsi su corpi nuovi. Ogni domenica mattina c’era il bollettino: aperitivo in centro, cena a Jesolo tirando i 120, disco disco fino all’alba e via di nuovo a 120 per fare l’after in quel locale vicino alla stazione che non chiudevano mai, e chi ci arrivava si divertiva pure.
L’eroina, la fila in farmacia a chiedere le siringhe per la nonna col diabete, a spaccare finestrini per rubare gli autoradio, i graffiti “W le Roipnol”. I giardini che di notte avevano così tante fiammelle che pareva un concerto, i cadaveri sparpagliati nei cespugli trovati da noi che giocavamo a calcio. E sono stati quei magici anni che hanno formato l’elettorato di oggi, che possiamo vedere nei social ogni giorno.