Domani la Camera esaminerà il nuovo ddl della maggioranza in materia di giustizia: ecco cos’è e cosa comporta
Sono passati ormai alcuni giorni, ma forse molti ricordano le grandi gesta teatrali inscenate dal Presidente del Consiglio a Lampedusa quando, in un tentativo di manovra politica e mediatica sul fronte sbarchi, anziché centrare l’obiettivo prefissato – rilancio dell’immagine come uomo di governo che risolve l’emergenza migranti – ha visto il sipario calare sul lato “sbagliato” della supposta giornata trionfale: la bagarre a Montecitorio sul processo breve. Più di un “legittimo impedimento” si è infatti frapposto sulla strada del Cavaliere verso la sua impunità: se vi erano ancora dubbi circa la natura di legge ad personam del ddl titolato “Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi”, proprio lo scorso 30 marzo, durante la visita di Berlusconi a Lampedusa, la maggioranza ha pensato bene di invertire l’ordine dei lavori alla Camera e chiedere l’approvazione immediata della legge sul processo breve e sulla prescrizione “corta” per gli incensurati, di modo che si chiuda alla svelta la partita del processo Mills.
[ad]Così, durante la seduta n. 455, alla Camera succede qualcosa di totalmente imprevedibile che manda in malora “l’operazione Lampedusa” del Presidente del Consiglio: il Ministro della Difesa, un Ministro del Suo Governo, manda letteralmente e brutalmente a quel paese il Presidente dell’Assemblea, Gianfranco Fini. È la goccia che fa traboccare il vaso e comporta la sospensione dei lavori, ovvero la triste fine di ogni speranza di approvazione del testo nell’arco della settimana da parte della coalizione di maggioranza. Arenatasi davanti ad un incidente d’aula, l’accelerazione sulla prescrizione breve subisce un’altra dura battuta d’arresto il 6 aprile quando, ormai nel pieno della discussione parlamentare sui singoli articoli e in attesa quindi delle dichiarazioni di voto e del voto stesso, la maggioranza vede sfumare la mattinata a causa delle trappole ordite dal Pd sul resoconto stenografico. Le votazioni sul processo breve sono infatti bloccate: una norma del regolamento della Camera permette ai deputati citati nel resoconto del giorno prima di prendere la parola per correggere il resoconto relativo al proprio intervento. Di fatto, questa procedura, regolare sebbene carica di significato ostruzionistico, e per questo definita di filibustering da esponenti della maggioranza, riesce nel suo intento: ritardare ancora l’approvazione della legge che, forse, sarà definitivamente votata il prossimo mercoledì.
È giunto allora il momento di interrogarsi da un lato sul perché di tanto sforzo ostruzionistico, e dall’altro sul perché di tanta fretta nell’approvazione della legge. Anzitutto bisogna rilevare l’oggetto del provvedimento che riguarda prescrizione e “processo breve”. La prima oggi si calcola aggiungendo alla pena massima un’ulteriore quarto, mentre da domani, per tutti gli incensurati che siano tali alla data di entrata in vigore della legge, si aggiungerà soltanto un sesto: ciò chiaramente significa che per quei reati la cui prescrizione è già breve, lo sconto sarà minimo, e diversamente aumenterà di molto per quei reati la cui pena è maggiore. Relativamente al “processo breve”, sbandierato come necessità impellente dettata dall’ordinamento sovranazionale europeo, si prevede che questo venga applicato quando in dibattimento si trattano reati con pene inferiori ai 10 anni: in questi casi, il giudizio di primo grado deve arrivare entro tre anni dal rinvio a giudizio, altrimenti il reato si prescrive. Diversamente, nel caso di giudizio d’appello e ricorso in Cassazione, questi processi devono terminare rispettivamente entro il termine di due anni l’uno e 18 mesi l’altro.
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[ad]Di questa legge così come impostata, diversi sono i profili che suscitano delle perplessità: l’Anm parla di 15 mila processi l’anno che cadono in prescrizione e che la riforma rischia di far raddoppiare, mentre da molte parti della società civile si denuncia la depenalizzazione dei c.d. reati dei colletti bianchi, ovvero quei reati come truffe, corruzioni, reati societari e tributari, in genere puniti con pene inferiori ai 10 anni. Se la disciplina che si vuole introdurre è quindi limitata ai soli procedimenti per reati puniti con la reclusione inferiore nel massimo a 10 anni e ciò porterebbe ad applicare il meccanismo di estinzione a delitti anche gravi, mentre resterebbero escluse le contravvenzioni pure di modesta entità, più grave appare la considerazione secondo cui, se il fine della legge – come si evince dalla relazione – è quello di garantire la ragionevole durata del processo (che rappresenta, ai sensi degli articoli 6 CEDU, 47 Carta di Nizza, nonché 111 Costituzione, un diritto fondamentale della persona), l’effetto paradossale di questa legge sarà che i delitti più gravi, non essendo soggetti a termini di prescrizione processuale, “passeranno in coda” e dunque dureranno ancora di più. In realtà, oltre al pericolo cha ad essere pregiudicata sia la stessa legalità a fronte di termini di prescrizione irragionevolmente brevi per reati a dir poco dannosi per la collettività (si pensi a Cirio, Parmalat, Antonveneta, Thyssen, Enelpower, Eternit, allo scandalo rifiuti in Campania, agli scandali di malasanità come quello della clinica Santa Rita di Milano, alla strage ferroviaria di Viareggio), c’è qualcosa di più grave quanto inespresso in questo disegno di legge, che rischia di minare uno dei principi fondanti e fondativi della nostra Carta costituzionale e della nostra Repubblica: l’articolo 3 sull’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.
La possibile violazione del principio di pari trattamento rispetto alla giurisdizione – ribadito da ultimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 262 del 2009 – discenderebbe dall’aver ancorato la procedibilità all’essere l’indagato recidivo, ancorché sia intervenuta la riabilitazione. La recidiva, persino nella versione originaria dell’articolo 99 del codice Rocco, ha sempre rappresentato nulla più che una circostanza aggravante di applicazione discrezionale, riferibile unicamente ai delitti non colposi: la disparità di trattamento riservata ad imputati di identiche fattispecie di reato, ben diversa dalla concessione di attenuanti che il giudice può concedere discrezionalmente sia a incensurati che a recidivi, permette quindi di configurare senza troppe difficoltà una violazione del principio costituzionale appena richiamato. Uno stesso tipo di violazione si potrebbe fare anche configurare con riferimento alla disposizione secondo cui la prescrizione “corta” sarebbe applicabile solo ai processi pendenti in primo grado e non anche in appello o in Cassazione: o si escludono i processi pendenti oppure, se si segue il principio del tempus regit actum, la nuova disciplina si applica a tutti i processi pendenti, in qualsiasi grado (il paradosso è che si estinguerebbe prima il processo che è durato di meno – I grado – rispetto a quello che è durato di più – II grado o Cassazione). Ancora, la riduzione dei tempi di prescrizione si traduce in una sostanziale diversità dei cittadini dinanzi alla legge se si considera che, dopo l’abbreviamento dei tempi di prescrizione disposta già dalla legge Cirielli, questa legge costituisce di fatto una garanzia di impunità per quanti tra gli imputati possono permettersi costosi collegi di difesa capaci di sfruttare tutte le possibilità dilatorie offerte dal nostro codice di procedura penale. E non appare allora un caso se, mentre alla Camera si discute sul processo e la prescrizione breve, in Commissione Giustizia al Senato passa l’emendamento Mugnai al disegno di legge sul c.d. “giudizio abbreviato”, ribattezzato dall’opposizione “allunga–processi”, che consente alla difesa di presentare lunghe liste di testimoni e non considerare più come prova definitiva di un processo la sentenza passato in giudicato di un altro procedimento; sono abbastanza evidenti le dirette conseguenze che una tale disposizione avrebbe sul processo Mills, ancora in corso a carico di Berlusconi.
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[ad]E allora, per onor di cronaca, che cosa invece si prevede accadrà alle sorti dell’ormai noto processo Mills che vede imputato il Presidente del Consiglio per aver corrotto con 600mila dollari David Mills al fine di garantirsi l’impunità nei processi All Iberian e Gdf? Si ricordi che Mills è stato riconosciuto colpevole da una sentenza della Cassazione a Sezioni unite nel febbraio 2010 e che la posizione di Berlusconi era stata stralciata in seguito all’introduzione del Lodo Alfano e al conseguente ricorso dei pm alla Consulta per incostituzionalità. Solo dopo la bocciatura del “Lodo” il processo è ripartito, ma tra il dibattimento e la sentenza è intervenuto il “legittimo impedimento”, che il 13 gennaio scorso la Corte costituzionale ha ancora (seppur parzialmente) respinto. In sostanza, il prossimo 9 maggio si riaprirà il processo Mills e, se la legge sul processo breve dovesse passare, i tempi per tentare di arrivare in Cassazione entro la fine di gennaio 2012, tendendo pure conto della stretta disponibilità di Berlusconi a presentarsi in tribunale, sembrano di fatto azzerati: si tratta infatti di una riduzione dei tempi del processo per gli incensurati (e di fatto il Presidente del Consiglio lo è tuttora) di ben 6 mesi e, nel caso di specie, ciò significa che la fine del processo Mills potrebbe arrivare già ai primi di giugno.
Se pure le misure volte alla tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi sono necessarie ed urgenti, sembra davvero arduo declinare queste leggi su processo e prescrizione brevi tra quelle prioritarie di cui il malandato sistema giudiziario italiano ha bisogno.