Human Rights Watch è una ONG internazionale, con sede a New York, attiva nel campo dei diritti umani; la sua principale attività consiste nella produzione e nella pubblicazione di ricerche e studi sulle violazioni della Dichiarazione Universale dei diritti umani.
Il 21 marzo 2011 è stato pubblicato un rapporto di 81 pagine riguardante l’Italia (disponibile anche informato .pdf) dal titolo L’INTOLLERANZA QUOTIDIANA.
[ad]La ricerca è stata condotta da un lato valutando la situazione giuridica in Italia in termini di razzismo e xenofobia e giudicando gli interventi della politica in materia, e dall’altro attraverso testimonianze dirette, degli immigrati, delle forze dell’ordine e dei rappresentanti di varie ONG e associazioni operanti nel nostro paese, arrivando a collezionare oltre cinquanta testimonianze in grado, con riferimenti precisi e circostanziati, di gettare luce sul rispetto dei diritti umani nel nostro Paese.
Il risultato, non del tutto inaspettato, è tranchant: l’Italia è uno Stato sempre più xenofobo e razzista.
Il rapporto in primo luogo disegna lo stato attuale del Paese, utilizzando come fonte di partenza il Dossier Statistico Immigrazione Caritas-Migrantes 2010, di cui è disponibile sul sito della Caritas un abstract. Il quadro delineato risponde alle caratteristiche di un Paese meta dei migranti: nel 2010 erano quasi cinque milioni gli immigrati regolari – compresi i figli degli immigrati e i figli delle coppie miste – a cui sono da sommarsi circa un altro milione di irregolari.
Il secondo passaggio è la definizione della normativa vigente in tema di razzismo e xenofobia in Italia. Come spesso accade nel nostro Paese non sono le leggi a fare difetto, ma la loro applicazione. L’Italia, in effetti, ha una legislazione abbastanza esaustiva sul tema, sia attraverso la ratifica di documenti internazionali, sia attraverso la promulgazione di leggi statali.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
(per continuare la lettura cliccare su “2”)
[ad]Il principale strumento di perseguimento penale è invece la Legge 205/1993, che consente al giudice di considerare un’aggravante la finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso. Per la legge italiana, l’applicazione di un’aggravante permette di aumentare la pena fino al 50% di quanto previsto dalla legge per il reato contestato. Inoltre, tale legge inserisce questo tipo di reati tra quelli che devono essere perseguiti d’ufficio, senza l’obbligo di una denuncia.
Dal 2005 è inoltre attivo in Italia l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, uno sportello contro gli episodi di discriminazione, tra i cui compiti esiste espressamente il monitoraggio degli eventi discriminatori.
Con una simile base legislativa, dotata anche di strumenti concreti di azione, come è possibile che il nostro Paese sia definito razzista?
Human Rights Watch ha dato grande importanza al peso dato al tema della sicurezza durante la campagna elettorale del 2008, e alla progressiva identificazione tra gli eventi criminali e l’arrivo degli stranieri sul suolo italiano – sebbene studi indipendenti compiuti dalla Banca d’Italia non abbiano dato riscontri reali a questa visione.
Non è poi da dimenticare l’utilizzo dei media in tal senso: in uno Stato dove la commissione tra potere politico e mezzi di informazione è quantomai stretta – non bisogna dimenticare come secondo Reporters sans frontières l’Italia non possa essere considerato un paese veramente libero dal punto di vista della libertà di stampa – spicca come, citando il report di HRW, durante la prima metà del 2008 è emerso che solo 26 delle notizie televisive 5.684 riguardanti immigrati non si riferiscono a questioni legate alla criminalità o alla sicurezza. La televisione è la principale fonte di notizie per l’80% della popolazione italiana. Un valore assolutamente sproporzionato e fuori linea con quello di qualsiasi altro Stato occidentale, che ha sollevato molti interrogativi presso i principali organismi internazionali.
Oltre ad un clima reso sfavorevole agli immigrati da esigenze elettorali, ed una legislazione orientata alla sommaria identificazione tra immigrati e criminali, sono stati svuotati di significato anche gli strumenti messi a disposizione dalla legge per l’osservanza dei diritti umani.
In primo luogo l’UNAR, per ben cinque anni, ha lavorato senza avere possibilità, nel proprio database, di specificare il razzismo tra le motivazioni delle discriminazioni. Questo significa, di fatto, che non esiste alcuna mappatura ufficiale dei casi di razzismo e xenofobia in Italia, lasciando buon gioco a chi tenta di stigmatizzare gli episodi più violenti a semplici episodi non indicativi di un clima nazionale. Solo nel settembre 2010 sono state finalmente apportate le necessarie modifiche.
La stessa Legge 205/1993, inoltre, è stata interpretata in maniera molto restrittiva. Complice una scrittura non chiarissima della legge, di fatto le aggravanti per razzismo vengono applicate solo quando il razzismo diventa la finalità ultima del reato, rimanendo quindi lettera morta nella stragrande maggioranza dei casi.
Secondo l’ONG americana, quindi, i passaggi in cui si costruisce la visione politica del governo nei confronti del problema del razzismo possono essere schematizzati nella seguente lista:
- la minimizzazione del problema, la negazione di un crescente sentimento xenofobo e la riduzione degli episodi violenti a semplici casi isolati
- una retorica anti-immigrazione sfruttata in chiave elettorale
- la mancanza o in generale l’inadeguatezza dei dati oggettivi che possano far comprendere le reali dimensioni del fenomeno
- gli scarsi investimenti sulla formazione specifica del personale poliziesco e giudiziario
- la mancata assicurazione alla giustizia dei colpevoli di violenza motivata da odio razziale, e in generale l’atteggiamento di ammiccante simpatia che traspare dal governo per simili fenomeni
Da quell’estate [1991] il fenomeno immigratorio cominciò, e l’Italia iniziò a sentirsi invasa. I numeri erano bassi, ma si coltivò un sindrome d’invasione. E poi venne la crisi economica, e l’arrivo della Lega. Berlusconi arriva sullo scenario nel 1994 e trasforma la questione dell’immigrazione in una materia elettorale […] e si inizia a enfatizzare i delitti compiuti da immigrati.
[…]
[Dopo l’11 settembre 2001] i musulmani sono amalgamati con la violenza e considerati il nemico dell’identità cristiana italiana. La Lega è protagonista ma partecipano grandi forze sociali quali cardinali, giornalisti e politici.[…][Ora si stabilisce un] legame tra immigrazione e criminalità, e si fa confusione tra problemi sociali e problemi di ordine pubblico.
Le conclusioni tratte dal report sono quindi molto chiare. L’Italia è un paese in cui stanno crescendo sentimenti razzisti, alimentati ad arte in maniera da risultare del tutto sproporzionati alla situazione attuale del Paese. Nell’ideologia leghista, nella propaganda berlusconiana e nell’ignavia dell’opposizione HRW trova le principali cause – due attive ed una passiva – della deriva xenofova nello Stivale, e proprio per questa chiara identificazione delle responsabilità suonano quasi inutili i suggerimenti offerti al Governo e ai singoli Ministeri.
La situazione italiana appare particolarmente insidiosa proprio perché esiste una precisa e attiva volontà ad agire in senso contrario a quanto prescrive la Convenzione dei diritti umani, e quindi non vi sono reali tentativi di trovare una soluzione al problema. Un cambio di rotta, specie dopo gli ultimi schiaffi ricevuti dall’Europa in tema di immigrazione dopo la crisi libica, appare, ad oggi, solo una chimera.
(Blog dell’autore: Città Democratica)