Imposte bitcoin e come vanno dichiarati: le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate
Le criptovalute o bitcoin sono monete virtuali, ovvero monete che non vengono stampate come la normale cartamoneta, ma piuttosto sono create, distribuite e scambiate in modo completamente virtuale, attraverso i computer e smartphone, e con una tecnologia apposita. Ne abbiamo già parlato qui, con riferimento alla legittimità dei pagamenti avvenuti con tale tipo di moneta. Di seguito vogliamo invece affrontare un altro tema, collegato anch’esso alle criptovalute: qual è il loro regime fiscale e quali sono le imposte bitcoin da pagare? ovvero, se, quando ed in che modo indicarle nella dichiarazioni dei redditi? Facciamo chiarezza.
Imposte bitcoin: cenni al contesto di riferimento
In effetti, dare una risposta a queste domande non è operazione assai agevole, dato che al momento, nella legge italiana, non si trovano norme sul Codice Civile o in materia fiscale, che espressamente si occupino di criptovalute ed imposte bitcoin. Piuttosto, sono stati, in varie occasioni, la giurisprudenza e l’Agenzia delle Entrate ad occuparsi della questione della tassabilità dei bitcoin e quindi delle imposte bitcoin, ma sempre facendo i conti con evidenti vuoti normativi.
Il fatto che non ci sia una vera e propria normativa che chiarisca i dubbi e ponga una disciplina sulle imposte bitcoin, non significa che il privato cittadino che si serve di criptovalute per le proprie operazioni economiche, non debba chiedersi se è corretto parlare di imposte bitcoin, di indicazione di esse nella dichiarazione dei redditi e di tassabilità di questo nuovo strumento. Infatti, è pur vero che chi detiene bitcoin, li conserva, li utilizza, li scambia e li rivende, seguendo un iter che ha indubbia rilevanza sul piano economico-finanziario e che comporta degli interrogativi sul piano fiscale. Basti pensare a chi fa trading con le criptovalute, ad esempio.
La materia delle criptovalute è caratterizzata comunque da non poche complessità intrinseche, dovute al fatto che – come ha opportunamente rilevato l’Agenzia delle Entrate – si tratta di “un sistema di pagamento decentralizzato, che utilizza una rete di soggetti paritari (peer to peer) e non è soggetto ad alcuna disciplina regolamentare specifica né ad una Autorità centrale che ne governa la stabilità nella circolazione“. Inoltre, tali monete sono virtuali, non fisiche, e sono conservate in portafogli elettronici: ciò a riprova del fatto che non sono monete “tangibili”, come invece le monete da 1 o 2 euro, per esempio.
Ma non solo: cogliere appieno la portata delle criptovalute, e di seguito chiedersi se sussistono imposte bitcoin, non è agevole in quanto tali monete virtuali sono create e circolano, grazie a degli articolati codici crittografici e a dei complessi calcoli algoritmici. Insomma, si tratta di dettagli tecnici che esclusivamente gli “addetti ai lavori” conoscono bene e sanno utilizzare appieno.
In particolare, al fine di utilizzare i bitcoin, è necessario entrarne in possesso o acquistandoli da altri soggetti in cambio di valuta legale, o accettandoli a titolo di corrispettivo per la vendita di beni oppure servizi.
Le criptovalute nella dichiarazione dei redditi
In mancanza di norme di legge esplicite in tema di tassabilità delle criptovalute e di imposte bitcoin, è stata l’Agenzie delle Entrate a dare delle utili indicazioni. Essa ha pertanto deciso di equiparare le criptovalute alle valute estere (come ad esempio lo yen giapponese), anche i fini della dichiarazione dei redditi da parte del contribuente.
In buona sostanza, ciò significa che il loro ammontare dovrà essere segnalato nella dichiarazione dei redditi ed incluso in particolare nel quadro RW, nel quale sarà necessario scrivere il controvalore in euro posseduto alla data del 31 dicembre dell’anno d’imposta di riferimento, secondo il tasso di cambio a quella data. In base a quanto stabilito dall’Agenzia delle Entrate, inoltre, il contribuente dovrà riportare dette valute al rigo RW1, nella colonna 3 con il codice 14 (“Altre attività estere di natura finanziaria e valute virtuali“). Non serve invece indicare il codice “Stato estero“, nella successiva colonna 4 (dato che si tratta di moneta “virtuale”).
E’ chiaro inoltre che indicare le criptovalute in dichiarazione dei redditi permette al Fisco di individuare il possesso di valute estere, come i bitcoin, onde combattere il fenomeno dell’illecito trasferimento in paesi stranieri di attività potenzialmente produttive di reddito, per evitare la tassazione in Italia.
La tassazione dei bitcoin
A questo punto dobbiamo occuparci della tassabilità dei bitcoin, ovvero di quali imposte bitcoin risultano applicabili. Le criptovalute sono soggette ad imposte bitcoin solo se si tratta di operazioni realizzate con intenti speculativi. Infatti, secondo quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate, ma anche dal Tar Lazio, le operazioni mediante criptovalute sono speculative, e pertanto sono tassabili, se la giacenza media dei wallet detenuti dal contribuente, ovvero dei portafogli virtuali contenenti i bitcoin, supera la somma di 51.645,69 euro (tenendo conto dei soli bitcoin o insieme ad altre criptovalute o valute estere), per una durata di almeno 7 giorni lavorativi continuativi nell’anno d’imposta di riferimento.
Tirando le somme, se le appena citate condizioni sono presenti, i bitcoin concorreranno a formare il reddito imponibile ed il contribuente dovrà indicare gli eventuali utili ottenuti come plusvalenze, in base a quanto stabilito dal Testo Unico sulle imposte dei redditi, nel quadro RT del Modello Redditi. La tassazione che ne deriverà seguirà l’aliquota d’imposta sostitutiva sui guadagni di capitale (ovvero i guadagni ottenuti dalla loro vendita o dal cambio in euro), pari al 26%.
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