Canone negozi in affitto va ridotto per covid: lo dicono i giudici romani
Come ben sappiamo, il contratto di affitto prevede di poter usufruire degli spazi di un certo immobile, a fronte del pagamento di un canone a favore del proprietario dell’immobile stesso. Ed è chiaro che ha senso stipulare un contratto di questo tipo soltanto se si ha ragionevole certezza di poter sostenere tutte le spese periodiche, tra cui quelle dell’affitto. Ebbene, in questi ultimi mesi, la materia dei contratti di affitto e del canone negozi è stata, in qualche modo, “segnata” dall’emergenza coronavirus, dal lockdown e dai provvedimenti delle autorità che hanno limitato o vietato le attività lavorative, tra cui quelle commerciali in negozio. Sono stati fatti eccezionali che, in moltissime situazioni pratiche, hanno impedito al negoziante di fronteggiare il costo del canone negozi, a causa del forte calo del volume d’affari. Ecco allora che in un contesto come quello degli ultimi tempi, trova giustificazione una recente ordinanza del Tribunale di Roma, che di fatto rimodula verso il basso la somma da versare come canone negozi. Vediamo più nel dettaglio.
Come accennato, se un negoziante non lavora causa chiusura forzata ed indipendente dalla sua volontà, di certo non può contare su incassi che gli consentano di pagare le spese quotidiane, ed anche il canone negozi. L’impossibilità di produrre un reddito è un elemento che ha rilevato in un recente caso concreto, affrontato dai giudici di Roma, in cui un ristoratore della Capitale non era più riuscito a pagare la consistente cifra mensile di 8.000 euro di canone d’affitto per i locali.
Le autorità giudiziarie, per trovare un delicato compromesso tra esigenze ed interessi di locatore e locatario, in tempi di covid-19, hanno dunque stabilito la diminuzione del canone negozio del 40% per i mesi di aprile e di maggio 2020 e del 20% per il periodo da giugno 2020 a marzo 2021. Ma non solo: il tribunale ha anche deciso che la garanzia fideiussoria debba essere sospesa fino a un debito di 300.000 euro.
Si tratta insomma di una ri-contrattazione dell’affitto, decisa da un soggetto terzo e neutrale quale il Tribunale, dato che il locatario – in corso di causa – aveva lamentato l’inerzia del proprietario su questo punto, ovvero la sua mancanza di volontà di riformulare le condizioni economiche del contratto. Peraltro, ragioni di correttezza e buona fede nei rapporti contrattuali, imporrebbero comunque tale nuova modulazione del canone, in considerazione di un evento totalmente imprevisto e pregiudizievole per l’attività di ristorazione, quale la pandemia.
Insomma, si tratta di un caso giurisprudenziale che potrebbe essere di riferimento ed orientamento in ulteriori e future cause analoghe in materia di attività commerciali e canone negozi. D’altronde, per il Tribunale di Roma, non si poteva non giungere alle conclusioni di cui sopra, in quanto il credito di imposta del 60% previsto dall’attuale Esecutivo sui canoni versati a marzo 2020 appare – agli occhi dei giudici romani – come una misura parziale ed insufficiente per costituire realmente una compensazione ai danni economici subiti ed ai mancati incassi in tutti questi mesi. Ecco allora spiegato il perchè di questa decisione giudiziaria, che di fatto riconosce appieno le doglianze del ristoratore locatario.
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