Calciatori che entrano in Italia barando: partiamo dal migliore

Pubblicato il 23 Settembre 2020 alle 15:58 Autore: Nicolò Zuliani

Era dai tempi di Wolf of Wall street che non vedevo tanta mitomania. Lui è convinto gli applausi siano sinceri, fa feste ignoranti e ha un’uscita di scena tale da far invidia all’equipaggio del Challenger

È grande scandalo perché Suarez, un giocatore di calcio, ha parruccato gli esami d’ammissione per entrare in Italia. Sapeva già le domande dei test e pur non spiccicando una parola d’italiano, siccome è una macchina da guerra in campo – mi dicono – è stato fatto passare. Dunque, tuona il popolo, avere la cittadinanza è solo questione di soldi?

Per rispondere a questa domanda bisogna munirsi di pop corn e andare in Libia, precisamente a Tripoli nel pomeriggio del 7 luglio 1996. Siamo nello stadio e si sta disputando il derby tra la squadra Al-Ittihad e la Al-Ahli, appartenenti rispettivamente al secondo e al terzo figlio di Gheddafi: Muhammad e Saadi. Dato il periodo, il popolo, il regime e i personaggi, è ovvio siano corrotti anche i bidelli e i tecnici luce, ma bisogna vedere quanto.

A metà del secondo tempo, infatti, l’arbitro assegna un goal irregolare all’Al-Ahli. Gli spalti insorgono nello stile tradizionale libico: cori contro il regime, invasione di campo, accoltellamento dell’arbitro, assalti alla tribuna di Saadi, ventitrè morti e lutto nazionale.

La squadra di Saadi viene quindi sciolta per [inserire reato a piacere].

Muhammar Gheddafi dà una lavata di testa al figlio. Il giovane rampollo è un debosciato a cui interessa soltanto guardare la Juve, giocare a calcio, drogarsi, andare a donne e vivere nel lusso; tutte discipline in cui fallisce miseramente. Nato a Tripoli nel maggio del 1973, fin da giovanissimo si dimostra un babbeo che solo grazie all’influenza paterna diventa presidente della lega calcistica libica e contemporaneamente capitano della nazionale, all’epoca allenata da Franco Scoglio.

L’allenatore, però, si rende conto che i goal segnati da Saadi avvengono solo perché la squadra avversaria glie li lascia fare, timorosa di venire assassinata. Del resto Saadi non va agli allenamenti, fa bisboccia ogni sera, e per tenersi in forma usa siringhe di Nandrolone. Quando nel 2002 arrivano i mondiali, il CT lo convoca “pro forma” in panchina solo contro il Congo. Saadi resta fino a metà del primo tempo, poi se ne va al bar. Quando Scoglio protesta, il governo libico decide che è un allenatore incapace e lo licenzia. Ma Saadi è certo di essere un grande giocatore: ha solo bisogno di passare di livello.

All’improvviso, l’Italia fiuta il suo talento.

Un assai noto imprenditore, Luciano Gaucci, lo acquista per farlo giocare nel Perugia. La notizia viene annunciata in pompa magna con una festa da 500 invitati a Torre Alfina e servizi al TG che somigliano a videoclip autocelebrativi quanto farneticanti. Alcune maldicenze insinuano c’entri il fatto che Saadi è proprietario della Tamoil, azienda che possedeva il 33% della Triestina e il 7% della Roma. Altri che Gaucci, navigando in cattive acque, non l’abbia affatto acquistato, anzi: è Saadi e la Libia che avrebbero pagato per ficcarcelo dentro, ma sono illazioni. Saadi si presenta con 30 guardie del corpo e alla partita d’esordio, un’amichevole, segna subito due goal contro la temibile Bassano Virtus.

“Ai giovanissimi del Bassano Virtus il 3° trofeo del borgo”

Poi basta.

Nella stagione 2003-2004 Saadi rimane nella sua amata panchina giocando contro la Reggina; in seguito alla partita gli fanno i test antidoping e lo trovano pieno di nandrolone come un castoro, così viene squalificato tre mesi. Rientrato in campo con la maglia numero 19, fatalità contro la sua amata Juventus, è noto che sugli spalti apparve un gigantesco striscione con scritto “è ora di Al-Saadi”, cosa che convinse l’allenatore a farlo giocare per ben tredici minuti.

Hey, quel logo sulla maglia mi dice qualcosa!

Nella stagione successiva Saadi passa all’Udinese, ma la sua vera natura sta prendendo il sopravvento.

Trasforma la città in un bordello a cielo aperto.

Le cronache locali ogni notte raccontano di champagne a fiumi, carrettate di caviale, escort pure negli sgabuzzini e inseguimenti in auto con i paparazzi. Dopo una settimana i compagni di squadra di Saadi sono ridotti a rottami tra influenze, infezioni genitali, crampi, e mancano gli allenamenti. L’allenatore tenta di serrare i ranghi, e per tutta risposta Saadi noleggia un jet privato, li carica tutti a bordo e li porta al Crazy Horse a Parigi.

La stagione 2007-2008 va alla Sampdoria, dove non gioca una singola partita e dichiara conclusa la sua carriera calcistica e decide d’intraprendere quella cinematografica. Va a Hollywood e diventa socio di maggioranza della casa di produzione Natural Selection (giuro), viene ovviamente osannato e coccolato da tutti e imbastisce The experiment del 2010 con Adrien Brody.

Poi nel 2011 suo padre ha la malaugurata idea di finanziare la campagna elettorale di Sarkozy, il quale appena vinto s’affretta a ringraziarlo bombardandolo nell’attesa che l’ONU approvi e partecipi. Hollywood è famosa per voltare le spalle al primo segnale di cedimento, e la Natural selection chiude i battenti.

Quando Gheddafi viene ucciso dai “ribelli” Saadi fugge in Niger cercando la protezione dei Tuareg, che negli ultimi 40 anni erano stati fedeli a suo padre. Appena finisce i soldi, i Tuareg lo vendono al nuovo governo di Tripoli che lo processa per [inserire reati a piacere] e lo getta in carcere. L’ultimo filmato di come se la passa è del 2015, in cui lo si vede bendato venire preso a ceffoni.

Ad oggi, nessuno sa se sia vivo o morto.
Luciano Gaucci è morto a febbraio di quest’anno a Santo Domingo.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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