La vittoria di Pirro, i romani e la diplomazia dei tarantini
È una storia diventata famosa per il detto “vittoria di Pirro”, ma anche “diplomazia tarantina” avrebbe funzionato.
Nel 281 a.C. la penisola italiana era ormai pressoché romana, e chi riusciva a resistere alle spade dell’Urbe – o alla sua strategia dividi et impera – erano pochi: una era Taranto, all’epoca piena Magna Grecia, che proteggeva la propria indipendenza chiedendo spesso aiuto alla madrepatria che inviava generali e soldati.
Negli ultimi anni, però, le cose erano andate degenerando.
I tarantini dovevano scornarsi con i Lucani e i Bruzi, tediose microrealtà assai aggressive. In realtà, sebbene noiosi, Bruzi e Lucani funzionavano come i canarini in miniera; se Roma non li toccava, si dimostrava disinteressata al meridione. E in effetti tra le due città c’era un patto nautico che i romani rispettavano.
Nel 282 le cose cambiarono.
Roma mandò il console Gaio Luscino a Thurii, dove mise una guarnigione che in breve tempo spazzò via i Lucani e prendendo Reggio, Crotone e Locri sotto la propria protezione. I tarantini capiscono che sta per piovere e sono nervosissimi. In autunno, una decina di navi romane rompono il blocco navale e si dirigono verso il golfo di Taranto, ma con intenzioni amichevoli. Le navi erano disarmate. Purtroppo in quel momento tutta la città è a teatro per guardare una rappresentazione in onore di Dioniso, e sono quindi ubriachi come veneti.
Come vedono le navi credono di essere sotto attacco e rispondono.
Affondano quattro navi e ne catturano una, mentre le altre riescono a fuggire. Compreso l’errore, invece di chiedere scusa, i tarantini decidono che la miglior difesa è l’attacco. Assaltano Thurii, catturano i cittadini e spazzano via la guarnigione romana, convinti che far prendere paura a Roma sia un buon modo per rendersi poco appetibili.
I fatti sembrano dar loro ragione. Roma manda una delegazione guidata da tale Postumio per appianare le cose senza sangue, con una proposta conveniente: consegnare i marinai prigionieri, lasciare che i nobili rientrino a Thurii e tutto sarà dimenticato.
Ma i tarantini si disinteressano alla proposta.
Anzi, si concentrano nel deridere la pessima pronuncia greca di Postumio e il modo in cui i romani si vestono. Quando postumio esce dal teatro dove ha fatto la sua orazione, un ubriaco gli piscia sulla tunica. Postumio si guarda attorno e cerca di sollevare la popolazione tarantina verso l’ubriaco, che ha appena violato la regola dell’intoccabilità degli ambasciatori. Invece la folla ride e deride, deliziata dallo spettacolo improvvisato. Postumio torna a Roma, entra in senato e mostra la tonaca col piscio dell’ubriaco.
Roma opta per l’opzione B: vaporizzare.
Le legioni romane cominciano alla leggera, devastando le campagne attorno a Taranto, assassinando chiunque ci si trovi e assediando la città finché Taranto non si arrende. I tarantini sanno di non poter resistere a lungo e le opinioni si dividono: alcuni dicono di arrendersi, altri che i romani vanno distrutti. Vince il secondo schieramento, e via mare mandano una delegazione in Grecia per chiedere aiuto. Lì trovano il re Pirro. È un veterano, ha fama di sapere il fatto suo e al militare non sembra vero di poter espandere il proprio prestigio.
Pirro arriva con uomini, armi e mezzi più quelli già a Taranto.
Le prime battaglie sono tritacarne orrendi e inutili, in cui Pirro trionfa praticamente da solo: tutti i suoi uomini muoiono assieme a quelli romani. Questi massacri vanno avanti fino alla battaglia finale presso Malevento, in Campania. I romani non riescono a competere con gli elefanti da guerra che li falciano e schiacciano, ma annientano l’intera fanteria tarantina e greca.
Quando l’ultima spada viene lasciata a terra, re Pirro si trova in una condizione bizzarra: ha vinto ogni singola battaglia, ma ha perso la guerra. Non ha più un solo soldato in grado di combattere, tutte le generazioni di maschi in grado di tenere un’arma in mano sono state spazzate via. A Taranto restano solo vecchi, donne e bambini. Da qui viene il detto “vittoria di Pirro”. Fugge in Grecia, dove muore pochi ani dopo.
I romani ribattezzano Malevento “Benevento”, ed entrano a Taranto.