Malattia dopo l’aspettativa: quali sono le conseguenze per il lavoratore?
Malattia dopo l’aspettativa: quali sono le conseguenze per il lavoratore?
Il lavoratore non è soggetto soltanto ad obblighi verso il datore di lavoro ma – come ben sappiamo – la legge e i CCNL prevedono per esso anche un ampio ventaglio di tutele, che rilevano nelle circostanze più diverse durante il rapporto di lavoro. Come abbiamo già notato qui, con riferimento all’assenza per malattia e al periodo di comporto, il dipendente è protetto laddove si trovi in uno stato di malattia tale da rendere impossibile l’immediato ritorno sul luogo di lavoro.
In alcune ipotesi, i CCNL dispongono uno specifico rafforzamento della tutela del dipendente, permettendogli anche di godere di un periodo di aspettativa non retribuita, superato il periodo di comporto. Ma che cosa succede in ipotesi di malattia dopo l’aspettativa? quali sono insomma le conseguenze? Vediamole.
L’aspettativa non retribuita è un diritto del lavoratore, che trova fondamento in molti CCNL. In concreto, la richiesta di aspettativa senza retribuzione, per motivi di malattia, va fatta pervenire all’azienda, prima della fine del periodo di comporto: ad essa va aggiunta l’essenziale certificazione medica che prova il protrarsi dello stato morboso. Per completezza, ricordiamo altresì che il dipendente potrà conservare il posto di lavoro per tutto il lasso di tempo coperto dell’aspettativa non retribuita. Non si avrà dunque retribuzione, nè decorrerà anzianità, ma il posto di lavoro verrà conservato.
Il punto è proprio questo: che succede in ipotesi di malattia successiva all’aspettativa? Può, in questo caso, il datore di lavoro licenziare liberamente il lavoratore ancora malato?
Ebbene, possiamo desumere la risposta dai contratti collettivi. Seppur questi ultimi tutelino il lavoratore colpito da una malattia lunga e grave, è vero che l’aspettativa non retribuita non può comunque superare di norma i 24 mesi continuativi. Se lo stato di malattia permane anche oltre, in base ad un contratto collettivo come quello per l’industria metalmeccanica, possiamo concludere che l’azienda sarà libera di optare per il recesso, cioè per il licenziamento. E’, purtroppo, una conseguenza logica per il lavoratore che non riesce a recuperare la propria salute: in buona sostanza, le norme vigenti riconoscono all’azienda il diritto di sostituire il dipendente malato con una altra persona.
Ma che succede appunto se la malattia compare dopo il ritorno a lavoro, ovvero dopo l’aspettativa? Il periodo di comporto ricomincia a decorrere da zero, o invece va tenuto conto dei giorni di assenza già cumulati con la anteriore malattia? Ebbene, per dare una risposta, va verificato cosa dice il singolo CCNL di riferimento, in merito al tipo di periodo di comporto:
- in ipotesi di comporto per sommatoria, nel conteggio del comporto debbono essere considerati tutti i giorni di assenza per malattia che si sono avuti in un certo lasso di tempo;
- in ipotesi di comporto secco, il conteggio del comporto attiene ad una singola malattia: quindi laddove la malattia finisca ed il lavoratore torni a lavorare, se si ammala nuovamente, il conteggio del comporto è azzerato, e non si ha alcun cumulo dei giorni.
Concludendo, è intuibile che il comporto secco garantisce maggiormente il lavoratore, sul piano del diritto alla conservazione del posto. Infatti, se il CCNL di riferimento prevede che il periodo di comporto avvenga per sommatoria, se si verifica la malattia dopo l’aspettativa entro un determinato periodo di tempo previsto dal CCNL, il dipendente corre il pericolo di perdere il posto di lavoro, in quanto scatta la citata sommatoria dei giorni della nuova malattia a quelli della precedente, con la conseguenza del superamento del periodo di comporto, appunto per il cumulo.
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