Nel 256 a.C. Cartagine non si aspettava di perdere; erano superiori di numero e conoscevano il territorio, invece le legioni di Attilio Regolo li avevano spazzati via ad Adys, ed erano stati costretti a chiedere la pace. Il console romano aveva fatto il classico errore dei vincenti: aveva posto condizioni irricevibili, tali da rendere la guerra a oltranza l’opzione migliore.
I vertici cartaginesi hanno bisogno di rimpinguare le fila e contattano uno schiavista, che ha a disposizione svariati mercenari provenienti da ogni parte del mondo. Sbarcano nella capitale e si fanno spiegare la situazione. I cartaginesi non indorano la pillola: i romani hanno dimostrato di poter distruggere eserciti grandi il doppio.
Tra chi ascolta c’è tale Santippo
Lui non si accontenta delle spiegazioni generiche e chiede gli venga raccontata la battaglia di Adys nei dettagli. Terreno, schieramenti, tattiche, cronologia degli eventi. Poi, in separata sede, confessa ai compagni che secondo lui Cartagine non ha perso per la bravura dei romani, ma per la propria incompetenza. I compagni si guardano bene dal tenersi per sé queste confidenze e in breve tempo arriva ai vertici voce che tra i mercenari ci sono già segni di sedizione.
Santippo viene convocato al senato e gli viene chiesto di ripetere, se ha coraggio, quanto detto. Non si fa pregare. Con calma e meticolosità illustra ogni singolo errore cartaginese a partire dalla scelta del terreno. Sono osservazioni acute, e quando gli viene chiesto cosa ne può sapere, lui risponde semplicemente “sono nato a Sparta”.
All’epoca era come rivelare di essere il capo del GIS
I figli degli spartani venivano tolti alla famiglia a 7 anni e messi in gruppo, supervisionato da un maestro. I bambini eleggevano tra di loro un capo, che riceveva una frusta e quando il maestro lo ordinava, puniva. Il maestro veniva scelto dagli spartani adulti solo se rispecchiava doti acclarate di rettitudine, decoro e forza. Il gruppo di bambini riceve come unico abito un mantello, che gli deve andare bene sia d’estate che d’inverno; non hanno mutande né scarpe e gli viene dato poco o niente da mangiare, così da costringerli a procurarsi il cibo rubando.
Se qualcuno veniva sorpreso veniva fustigato a sangue non per il furto, ma perché s’era fatto beccare. Durante infanzia e adolescenza si radevano i capelli e non si dovevano lavare. Al compimento del 16° anno, cambiava tutto; erano obbligati a curare l’aspetto, avevano cibo in abbondanza per triplicare il regime d’allenamento. Chi dimostrava più talento entrava nelle grazie dei supervisori, che li sceglievano uno per uno con lunga e dettagliata motivazione per poi metterli nei 100 migliori guerrieri della città.
A 18 anni, quelli più sviluppati e capaci avevano la possibilità di fare un ulteriore passo in avanti, l’ultimo: diventare incursori ante litteram. Il loro allenamento consisteva nel riuscire a vivere in città senza essere mai visto né aiutato, e in un solo giorno uccidere quanti più schiavi riusciva. A 19 anni si aveva la piena cittadinanza e si entrava nel servizio di leva che durava fino ai 60 anni.
I cartaginesi nominano Santippo generale e lo affiancano agli altri, poi vanno contro i romani in testa a 12,000 fanti, 4000 cavalieri e 100 elefanti da guerra.
A Tunisi, lo spartano schiera le truppe in maniera diversa dall’abitudine cartaginese. Mette gli elefanti in prima linea seguiti dalla fanteria, e sui lati mercenari e cavalleria. Sceglie un terreno pianeggiante invece di uno in salita e aspetta. Attilio Regolo, convinto della propria superiorità, attacca prima ancora di provare a capire la strategia cartaginese o di ascoltare i suoi generali. Finisce in disastro: 2000 romani riescono a salvarsi, mentre restano a terra gli altri 12,000 e 500 vengono catturati, tra cui Attilio Regolo.
Avere trattato i cartaginesi con tanta crudeltà gli si ritorce contro: prima gli tagliano le palpebre e lo lasciano al sole finché è cieco, poi lo infilano in un barile chiodato e lo gettano giù dalla collina di Adys, quella da cui aveva condotto l’attacco.
Santippo si guarda bene dal restare, dimostrando una notevole conoscenza dell’animo umano – e nello specifico, la sindrome dell’imperatore. Prende applausi e ricompensa, poi senza fronzoli si affretta a salpare per tornare a Sparta.
(Le fonti di questa storia sono variabili. Secondo Diodoro Siculo furono i cartaginesi a chiedere aiuto a Sparta, e quella inviò come da tradizione un uomo solo. Secondo Polibio andò come raccontato. Ho scelto questa versione perché più epica).