Come difendersi da un accertamento induttivo e di cosa si tratta

Come difendersi da un accertamento induttivo e di cosa si tratta

Come difendersi da un accertamento induttivo e di cosa si tratta

Il Fisco dispone di un'”arma” non di poco conto, in materia di accertamento del reddito di professionisti ed imprese. Si tratta dell’accertamento induttivo che, quando scatta, può comportare conseguenze sanzionatorie gravi per il contribuente. Vediamo dunque in che cosa consiste questo accertamento, quando scatta e come funziona.

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Accertamento induttivo: di che si tratta

Dobbiamo subito sgomberare il campo dai dubbi: l’accertamento induttivo consiste in una procedura di accertamento semplificato del reddito di imprese e professionisti, in quanto l’Amministrazione finanziaria non è vincolata alle risultanze di una contabilità mancante, incompleta, non veritiera o inesatta, e potrà invece ricostruire la base imponibile in qualsiasi modo utile, rideterminando i ricavi e i costi anche e soprattutto sulla scorta di “presunzioni”, che caratterizzano appunto detta procedura.

Questa tipologia di accertamento differisce da quello definito “analitico”, giacchè può essere utilizzato soltanto in presenza di alcune circostanze e/o fattispecie, previste nell’articolo 39 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, e che devono essere contestate al contribuente. Tra esse, ad esempio, l’irregolare tenuta delle scritture contabili obbligatorie o la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi. Pensiamo, ad esempio, al caso di un’ispezione del Fisco, che accerta l’omessa tenuta dei dati contabili o dei documenti fiscali o il rifiuto di mostrarli.

Altri casi che sono alla base dell’attivazione dell’accertamento induttivo sono quelli legati all’indicazione di dati falsi, inesatti o irregolari negli Isa, ossia gli indici sintetici di affidabilità fiscale, che hanno sostituito gli studi di settore; anche la mancata ed ingiustificata risposta agli inviti a comparire possono essere fonte di accertamento induttivo.

E’ chiaro che tuttavia la presunzione non potrà e dovrà dar luogo ad atti arbitrari privi di ragionevolezza, da parte dell’ufficio delle imposte.

L’Agenzia delle Entrate predisporrà dunque un accertamento induttivo contro cui il contribuente è in una posizione – quanto meno – di iniziale svantaggio, poichè non può fare perno su informazioni e risultanze di registrazioni contabili, fatture o bilanci non presentati e di fatto mancanti o inesistenti, o che invece sono lacunosi e dunque inattendibili per il Fisco.

Piuttosto, il contribuente dovrà difendersi da quanto raccolto e presunto dall’Amministrazione finanziaria, la quale nell’ambito della procedura di accertamento induttivo, ha tutto il diritto, per legge, di delineare il volume d’affari e le operazioni compiute nell’attività imprenditoriale o professionale, prescindendo integralmente dalla contabilità, appunto inaffidabile o addirittura assente.

Tuttavia, come vedremo tra poco, per il contribuente esistono percorsi per uscire con successo dall’accertamento induttivo: vero è però che, nel processo tributario, il confronto non è in partenza equilibrato, potendo l’Agenzia delle Entrate contare su presunzioni ed elementi solidi di contestazione nei confronti del contribuente. Ma non tutto è perduto, o almeno non subito.

Il valore delle presunzioni del Fisco

Sopra abbiamo detto che la procedura di accertamento induttivo ha a che fare con le cosiddette “presunzioni“: ma come funzionano esattamente in queste circostanze? Ebbene, la legge consente al Fisco di individuare il reddito del contribuente, attraverso rettifiche o correzioni, tramite appunto quelle che in gergo sono anche dette “prove indirette“, vale a dire appunto le presunzioni.

In diritto, le presunzioni si rivelano essenziali per poter risalire da un fatto noto ad uno sconosciuto, in questo caso il reddito esatto del contribuente. Il Fisco potrà dunque individuare il citato reddito e dimostrarne l’ammontare, sulla scorta di un iter che utilizza informazioni, dati e fattori a titolo di presunzione: tali elementi però, come stabilisce l’art. 2729 del Codice Civile, per essere fatti valere contro il contribuente, devono essere gravi, precisi e concordanti.

Inoltre, l’Agenzia delle Entrate dovrà notificare al contribuente un avviso di accertamento induttivo, in cui deve indicare le motivazioni, gli elementi e i dati utilizzati per far scattare le presunzioni e per ridefinire dunque il reddito stesso, ossia il maggior reddito accertato.

Le difese del contribuente contro le presunzioni

Si tratta pur sempre di presunzioni che non impediscono al contribuente di difendersi, vale a dire di contestare dette presunzioni, dando prova contraria, a sostegno della propria onestà e correttezza nei rapporti con il Fisco.

Tuttavia, fornire detta prova non sarà operazione semplice, poichè – come evidenziato anche dalla Cassazione – al contribuente non basta fare riferimento ai dati incompleti della contabilità, cercando di darne magari una giustificazione rispetto all’inattendibilità segnalata dal Fisco; piuttosto, il contribuente che intenda dimostrare la sua correttezza, dovrà fare i conti con l’insieme di presunzioni opposte dal Fisco nell’atto di accertamento induttivo. In buona sostanza, dovrà provare in giudizio che ciascuna di queste presunzioni non è fondata, non è precisa o non è ben circostanziata, oppure può essere spiegata con una ricostruzione diversa da quella fatta dall’Agenzia delle Entrate.

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In verità, il contribuente, già prima del processo tributario vero e proprio, talvolta ha la possibilità di chiarire in anticipo la propria posizione, dato che l’Agenzia può invitarlo in via preliminare a dare tutte le spiegazioni ritenute opportune, ed idonee ad opporsi con successo alle citate presunzioni. Altrimenti, al contribuente non resterà che difendersi sul difficile terreno del processo tributario, presso la competente Commissione Tributaria Regionale.

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