La battaglia di Tagliacozzo fu una macelleria a cielo aperto. Il 23 agosto del 1268 i ghibellini, guidati da Corradino di Svevia, affrontarono le truppe guelfe di Carlo d’Angiò dalle parti del fiume Imele. I ghibellini erano molti di più, ma Carlo aveva al suo fianco uno con la passione per la Storia militare: Alardo di Valéry.
Alardo aveva studiato bene le crociate, i fallimenti e il modo di combattere dei saraceni, così decise di metterli in pratica. Fece indossare a un aiutante da campo l’armatura del Re, poi lo mandò all’attacco circondato da servi che indossavano insegne reali. A quella vista i ghibellini si erano lanciati su di loro, perché l’occasione di uccidere un Re non capitava tutti i giorni.
Ci erano riusciti senza sforzo.
Alla vista del Re ucciso, le truppe avevano rotto gli schieramenti lanciandosi in manifestazioni di giubilo, mentre il vero Carlo d’Angiò e le sue truppe fingevano di scappare. In preda all’esaltazione, i ghibellini li avevano inseguiti in maniera scomposta, alcuni fermandosi a saccheggiare il loro campo. A quel punto due ali da 400 cavalieri l’una erano uscite dal bosco e li avevano falcidiati, per poi dedicarsi all’inseguimento e all’omicidio dei sopravvissuti. Un tale vortice di sangue da essere citato da Dante nel XXVIII canto dell’Inferno.
Da Tagliacozzo erano tornati a Napoli due cavalieri: Bertramo D’Aquino e Corrado
Bertramo si dedica alle gioie della vita: feste, parate e giostre. A una festa particolarmente riuscita vede Fiola Torrella, e ne rimane folgorato. Purtroppo è la moglie di Corrado, il suo capitano in battaglia. L’amore è cieco e irrazionale, e Bertramo comincia a corteggiare Fiola senza ritegno.
Le dedica i migliori giri di giostra, le fa regali, complimenti e compie “multe magnificenzie”. Lei non solo non lo ringrazia né saluta, ma lo deride con le amiche. Questo non lo ferma, anzi; a ogni rifiuto, Bertramo si incaponisce e aumenta l’intensità del corteggiamento, senza che Corrado se ne accorga minimamente, perché troppo interessato alla sua grande passione: la caccia.
Durante una battuta, Corrado e il suo entourage – tra cui sono presenti anche Fiola e le sue amiche – vedono alzarsi in volo un gigantesco branco di storni su cui piomba un falco. Gli storni impazziscono di paura e scappano da tutte le parti. Corrado assiste alla scena e scoppia a ridere, dicendo che quella scena gli ricorda il suo migliore amico Bertramo D’Aquino in battaglia: quando scendeva sui nemici e loro invece di combattere scappavano in preda al panico perché lo riconoscevano e ne avevano un terrore folle.
Mentre pranzano, Corrado racconta le gesta epiche di Bertramo, di come sia stato eroico e fedele, e di come sia buffo oggi vederlo gozzovigliare e correre dietro alle sottane, dato che in battaglia era un assassino disciplinato e letale. Le amiche confabulano tra loro dicendo che Bertramo è un buon partito.
Fiola cambia improvvisamente idea
Tornata a Napoli, mentre passeggia, lo incrocia. Lui si toglie il cappello e fa il suo solito inchino senza sperare di ottenere risposta, invece ce l’ha. Lei lo guarda dritto negli occhi, gli sorride e ricambia il cenno. Lui torna a casa con le palpitazioni, felice e confuso. Chiama per un consiglio il suo miglior amico, e quello si presenta con abbondanti dosi di vino. Ascoltati i patimenti, lo deride con una sparata che merita di essere trascritta com’è:
«Io non me meraveglio del tuo poco cognoscimento, per averte amore abbagliato l’intelletto, da non farte cognoscere la qualita e costume de le femine, e quello a che loro defettiva natura le ha produtte. Pensi tu che in niuna del loro, per savia che sia tenuta, se trove fermezza o stabilità alcuna? Certo le più de loro sono incontinenti, senza fede, retrose, vendicatrici e piene de sospetto, con poco amore, e vòte d’ogni carità.
La invidia, come a propria passione, tene il sommo loco nel centro del loro core; in esse non è ragione, né con veruna temperata manera se movono; già mai ne le cause loro alcuno ordine iudiciario se serva, se non a la scapistrata eligendo sempre il peggio, secondo da loro lievo cervello sono tirate.
E che ciò sia vero, quante volte avemo visto agli dì nostri una donna essere amata e vaghizzata da più e diversi valorosi e del vertù ornati amanti, ed essa, togliendo esemplo da la libidinosa lupa, schernendoli tutti, se è data ad uno vile ribaldo, de ogni sceleragine repieno?»
Il Novellino, XXI
Dopo queste considerazioni, certamente figlie dell’epoca, l’amico spiega a Bertramo che a Fiola non interessa lui, ma solo potersi vantare di averlo come spasimante, così da aumentare il proprio prestigio e la propria bellezza. Ma gli suggerisce di trovare al più presto un modo per parlarle di persona “battendo il ferro ne la sua caldezza”, perché le donne sono volubili.
Gli spiega poi la filosofia con cui prenderle; non crucciarsi dei rifiuti e non gioire delle vittorie, perché sono entrambe cose passeggere a cui non dare importanza. Questo è l’unico modo per beffarle e proteggersi della loro “innata malicia e cattività”.
Bertramo si affretta a scrivere una lettera piena d’amore e di passione, dove richiede un incontro quanto prima. Dopo averla fatta consegnare tra mille accortezze, lei non tarda a mandare risposta: si incontreranno nel giardino di casa sua, quando Corrado si sarà addormentato. Bertramo si presenta a tarda notte e dopo una piccola attesa, la vede uscire.
Lei lo abbraccia, si scusa per avergli fatto patire tanto e lo bacia sotto un albero d’aranci. Poco dopo lei lo prende per mano e lo conduce in una stanza al pian terreno, appartata e ben tenuta, dove c’è un letto. Dai baci passano ai preliminari “sollazzando e basandosi come negli aspettati ultimi termini d’amore se richiede”.
Ma Fiola ha tirato troppo la corda
Bertramo ha l’ego ferito dai tanti, troppi rifiuti e umiliazioni; invece di prendersi il premio e poi fare domande, inverte la procedura: si ferma e le domanda cosa le ha fatto cambiare idea. Lei gli spiega che no, Bertramo non meritava le umiliazioni e lei lo trovava anche attraente, ma era per salvaguardare il suo onore e per rispetto a suo marito che non si era concessa.
Ha cambiato idea quando ha sentito Corrado parlare di lui, paragonandolo a un falco che piomba sui nemici, narrando le sue gesta e le sue virtù. A quelle parole, lui impallidisce: ma da quando, si domanda, si trattano gli amici come nemici? Che razza di uomo sono, che faccio una cosa del genere a chi mi ha guidato e seguito in battaglia?
Da qualche parte, lontano, un musicante intona queste note. Con un improvviso moto d’orgoglio, Bertramo si alza dal letto, tira fuori un fazzoletto dentro cui sono avvolte delle pietre preziose e le lascia all’adultera, spiegando che dovevano celebrare la loro unione, invece celebreranno il loro addio. Si riveste e se ne va, lasciando Fiola a meditare. Su cosa, però, non ci è dato sapere.
Il Novelliere, pg. 489 – Liberalità di Messer Bertramo D’Aquino