La Natività di Caravaggio nell’attività investigativa palermitana
Con l’Illuminismo settecentesco si sviluppa un’ideologia secondo cui ogni fenomeno può essere investigato, verificato e chiarito su basi di certezza scientifica.
L’investigazione viene applicata nel mondo del diritto nelle più disparate branche, partendo dalla scoperta degli assassini nei delitti di sangue, passando per la ricostruzione delle dinamiche di incidenti stradali, fino ad arrivare ai rapporti bancari ed al diritto di famiglia, per interessare infiniti altri settori giuridici.
Se non fosse legata al nefando mondo della mafia siciliana, assumerebbe contorni affascinanti la storia dell’investigazione svolta dalla procura, avuto riguardo ad un notissimo furto di un quadro di Caravaggio, avvenuto nel 1969 presso l’Oratorio di San Lorenzo a Palermo.
Si tratta del maldestro trafugamento del quadro della “Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi”, risalente al 1600.
L’anno scorso l’agente di polizia Maurizio Ortolan, coadiutore nelle investigazioni che nel 1989 stava svolgendo il Giudice Giovanni Falcone, raccontava in un’intervista di aver assistito all’interrogatorio del pentito di mafia Francesco Marino Mannoia.
Quest’ultimo riferì al compianto Magistrato di aver trafugato il dipinto dall’Oratorio palermitano, provvedendo ad arrotolare la tela grazie ad un tappeto, anch’esso rubato dalla chiesa, al fine di nascondere l’opera e cercare di proteggerla da un temporale, che stava irrompendo durante la notte palermitana.
Purtroppo l’opera si distrusse a causa dell’arrotolamento e quindi l’opera dal valore inestimabile andò perduta per sempre.
Un racconto, questo, cui fanno da contraltare versioni contrastanti di altri mafiosi sulla sorte del dipinto, avvolta tuttora nell’incertezza.
Ma la storia consente di ricordare l’instancabile e meritorio lavoro di Giovanni Falcone, le cui tecniche investigative innovative vennero chiamate, in onore del Magistrato, “Metodo Falcone” e consentirono, a partire dai primi anni Ottanta, di ricostruire enormi giri di danaro tra Italia e Stati Uniti, sintomo della gigantesca mole patrimoniale di cui poteva disporre “Cosa Nostra”.
L’investigazione in materia di rapporti bancari
Giungendo su lidi più prosaici, avuto riguardo al processo civile, va evidenziato il diritto, oramai universalmente riconosciuto, in capo ai titolari di conto corrente, di poter accedere a tutti i movimenti riferiti al proprio rapporto bancario.
L’art. 119 del Testo Unico Bancario statuisce, tra l’altro, che le banche e gli intermediari finanziari devono fornire al cliente (ovvero a colui che gli succeda a qualunque titolo, o che gli subentri nell’amministrazione dei suoi beni), se lo richieda, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, e questo entro un congruo termine, e comunque non oltre 90 giorni dalla domanda, con addebito al cliente dei costi di produzione della documentazione.
Medesimi oneri di rintraccio, estrazione copia e consegna al cliente richiedente sussistono avuto riguardo al contratto attestante l’accensione del rapporto di conto corrente: tale onere in capo all’istituto di credito deriva dal dovere generale della banca, parte “forte” del contratto, di comportarsi secondo correttezza (come disposto dall’art. 1175 del codice civile) e secondo buona fede (come sancito dall’art. 1375 del codice civile).
Ben più intricata, però, è la questione delle investigazioni finanziarie da parte dell’amministrazione, o da parte di creditori privati, sui conti correnti o su altri patrimoni del soggetto debitore.
Sulla scorta dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 51 del D.P.R. n. 633/1972, la pubblica amministrazione può avvalersi di verifiche sulla generalità delle tipologie di rapporti e di operazioni finanziarie effettuate dai contribuenti, formulando apposite richieste agli intermediari finanziari. Questi ultimi, a loro volta, debbono comunicare all’anagrafe tributaria, con cadenza periodica, gli estremi identificativi di ciascun cliente, nonché la tipologia di rapporto con il medesimo intrattenuto, nonché il contenuto dei singoli rapporti.
Per quanto inerisce, invece, i crediti di privati verso debitori clienti di banche o titolari di altri rapporti finanziari, l’art. 492 bis del codice di procedura civile consente al possessore di un titolo giudiziale o stragiudiziale di credito, di ricercare con le modalità telematiche i beni del proprio debitore da sottoporre a procedura di pignoramento.
È il Presidente del tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, a verificare il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, per poi autorizzare la ricerca con modalità telematiche dei beni da sottoporre a procedura espropriativa.
Tecniche di investigazione e rapporti tra ex coniugi
Tanto più rilievo assumono le tecniche d’investigazione, quanto più le stesse si rendono necessarie al fine di individuare realtà sottaciute all’interno dei rapporti familiari, soprattutto nel momento in cui, sopraggiungendo la crisi del rapporto di coppia, occorra individuare la consistenza patrimoniale dei rispettivi coniugi, onde regolamentare al meglio le future composizioni.
A tal proposito, riveste importanza cruciale l’indagine circa i rapporti finanziari intrattenuti dall’ex partner, sollecitata in via stragiudiziale tramite l’avvocato della controparte, onde acquisire “a monte” la conoscenza circa le risorse economiche e patrimoniali di cui dispone la controparte.
Su tale problematica si è pronunciata lo scorso 25 settembre l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con un dictum di particolare rilievo giuridico.
La storia trae origine da un ricorso avanti al TAR Campania, sezione distaccata di Salerno, proposto da una donna ai sensi dell’articolo 116 del codice del processo amministrativo, avverso il diniego dell’istanza presentata dalla ricorrente verso l’agenzia delle entrate – in pendenza del giudizio di separazione giudiziale, nel cui ambito la ricorrente aveva formulato richiesta di addebito e proposto domande di determinazione dell’assegno di mantenimento e di assegnazione della casa familiare – vòlta ad accedere ed estrarre copia della documentazione fiscale, reddituale e patrimoniale (compresi eventuali contratti di locazione) riferibile al coniuge, conservata nell’anagrafe tributaria, nonché delle comunicazioni inviate dagli operatori finanziari all’anagrafe tributaria e conservate nella sezione archivio dei rapporti finanziari, relative alle operazioni finanziarie riferibili allo stesso coniuge.
L’Agenzia delle entrate aveva negato l’accesso sulla base del rilievo che il controinteressato si era opposto e, con specifico riferimento alla documentazione della sezione archivio dei rapporti finanziari, che era comunque necessaria la previa autorizzazione del giudice investito della causa di separazione.
Il TAR accoglieva il ricorso, rilevando che in pendenza del giudizio di separazione o di divorzio l’accesso alla documentazione fiscale, reddituale, patrimoniale e finanziaria dell’altro coniuge doveva ritenersi “oggettivamente utile” al perseguimento del fine di tutela, e ordinando, di conseguenza, all’amministrazione resistente di esibire alla ricorrente la documentazione da essa richiesta e di consentirne l’estrazione di copia.
L’amministrazione tributaria proponeva appello davanti al Consiglio di Stato.
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato, investita della causa, a fronte dei contrasti giurisprudenziali insorti sulla questione centrale di diritto devoluta in appello, rimetteva gli atti all’Adunanza plenaria, ponendo le seguenti questioni:
a) se le dichiarazioni dei redditi e le certificazioni reddituali, patrimoniali e finanziarie siano qualificabili quali documenti e atti accessibili, ai sensi degli articoli 22 e seguenti della l. n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo;
b) in caso positivo, quali siano i rapporti tra la disciplina generale riguardante l’accesso agli atti amministrativi ex lege n. 241/1990 e le norme processuali civilistiche previste per l’acquisizione dei documenti amministrativi al processo;
c) in particolare, se il diritto di accesso sia esercitabile indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle menzionate norme processuali civilistiche, o anche – eventualmente – concorrendo con le stesse;
d) ovvero se – all’opposto – la previsione da parte dell’ordinamento di determinati metodi di acquisizione, in funzione probatoria di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, escluda o precluda l’azionabilità del rimedio dell’accesso ai medesimi secondo la disciplina generale di cui alla Legge 241;
e) nell’ipotesi in cui si riconosca l’accessibilità agli atti detenuti dall’agenzia delle entrate, in quali modalità va consentito l’accesso ai medesimi, e cioè se nella forma della sola visione, ovvero anche in quella dell’estrazione della copia, ovvero ancora per via telematica.
L’Adunanza Plenaria si pronunciava con Sentenza n. 19 del 2020, depositata appunto lo scorso 25 settembre 2020.
Quanto alla questione sub “a”, si è pacificamente riconosciuta la natura di atti amministrativi accessibili ex lege 241, a tutti i documenti dell’anagrafe tributaria, contenenti sia i dati patrimoniali e fiscali sia i dati finanziari della sezione archivio rapporti finanziari: “la nozione normativa di «documento amministrativo» suscettibile di formare oggetto di istanza di accesso documentale è ampia e può riguardare ogni documento detenuto dalla pubblica amministrazione o da un soggetto, anche privato, alla stessa equiparato ai fini della specifica normativa dell’accesso agli atti, e formato non solo da una pubblica amministrazione, ma anche da soggetti privati, purché lo stesso concerna un’attività di pubblico interesse o sia utilizzato o sia detenuto o risulti significativamente collegato con lo svolgimento dell’attività amministrativa, nel perseguimento di finalità di interesse generale”.
La seconda e centrale questione della controversia attiene ai rapporti tra l’istituto dell’accesso documentale difensivo ex art. 24 comma 7 Legge n. 241/1990 e lo strumento processuale delineato dall’art. 155 sexies disp. att. c.p.c., con il quale sono stati ampliati i poteri istruttori del giudice ordinario ai fini della ricostruzione della situazione patrimoniale ed economico-finanziaria (la norma parla di “ricostruzione dell’attivo e del passivo”) delle parti processuali nei procedimenti in materia di famiglia, attraverso il ricorso allo strumento di cui all’art. 492-bis c.p.c., costituito dall’accesso, con modalità telematiche, ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari.
Ebbene, i Giudici di Palazzo Spada ammettono la possibilità, da parte di uno dei due coniugi, di agire tramite l’accesso documentale difensivo “al di fuori del processo” da celebrare in sede civile, purché lo stesso venga comunque collegato alla necessità della difesa in giudizio di situazioni riconosciute dall’ordinamento come meritevoli di tutela.
Il legislatore, infatti, si è preoccupato di disciplinare il fenomeno giuridico della “famiglia” in senso omnicomprensivo, e cioè tale da ricomprendere il momento della sua formazione, quello del suo svolgimento e quello, eventuale, della crisi e del suo scioglimento.
Al realizzarsi di una di queste fattispecie, che giuridicamente corrispondono a necessità e bisogni sociali particolarmente avvertiti dalla comunità (quali, ad esempio, l’equità nella gestione dei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi o i conviventi e rispetto ai figli), l’unico interesse legittimante all’accesso difensivo sarà quello che corrisponderà in modo diretto, concreto ed attuale alla cura in giudizio di tali predeterminate fattispecie, in chiave strettamente difensiva.
Sul piano procedimentale, l’articolo art. 25 comma 2 della Legge n. 241/1990 impone che la richiesta di accesso ai documenti debba essere motivata.
La volontà del legislatore è di esigere che le finalità dell’accesso siano dedotte e rappresentate dalla parte in modo puntuale e specifico nell’istanza di ostensione, e suffragate con idonea documentazione (ad esempio, tramite scambi di corrispondenza; diffide stragiudiziali; in caso di causa già pendente, indicazione sintetica del relativo oggetto e dei fatti oggetto di prova), onde permettere all’amministrazione detentrice del documento il vaglio del nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta sub specie di astratta pertinenza con la situazione “finale” controversa.
In questa prospettiva, pertanto, va escluso che possa ritenersi sufficiente un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando.
Passando ad esaminare il terzo dei profili, e cioè i rapporti tra l’accesso difensivo ed i metodi di acquisizione probatoria previsti dalle disposizioni del codice di procedura civile, il Consiglio di Stato ha delibato circa la complementarietà tra i due istituti, non nel senso della loro reciproca esclusione.
Appare dirimente la considerazione che il comma 7 dell’articolo 24 della Legge 241, nel contemplare la necessità sia di “curare”, sia di “difendere” un interesse giuridicamente rilevante, lascia intendere la priorità logica della conoscenza degli elementi che occorrono per decidere se instaurare un giudizio e come costruire a tal fine una strategia difensiva.
Con la conseguenza che l’accesso documentale difensivo non necessariamente deve sfociare in un esito contenzioso in senso stretto.
Risulta dunque preservata l’esigenza delle parti di acquisire già in sede stragiudiziale e nella fase pre-processuale, la conoscenza dei fatti rilevanti ai fini della composizione della res controversa.
L’attribuzione al giudice della crisi familiare di ampliati poteri d’ufficio, in ispecie di acquisizione dei dati dell’anagrafe tributaria ivi inclusi i dati dell’archivio dei rapporti finanziari, non fa pertanto venir meno l’esigenza della parte interessata di acquisire i documenti al di fuori del giudizio per il tramite dello strumento dell’accesso difensivo, proprio al fine di corroborare istanze sollecitatorie di eventuali (ulteriori) indagini d’ufficio sulla base di elementi specifici e circostanziati di cui la stessa abbia acquisito conoscenza all’esito dell’accesso ed in cui assenza il potere istruttorio ufficioso le potrebbe essere negato.
Quanto all’ultima questione, relativa alle modalità ostensive dei documenti dell’anagrafe tributaria, ivi inclusi i documenti dell’archivio dei rapporti finanziari – se, cioè, l’accesso possa essere esercitato solo attraverso visione, oppure anche attraverso estrazione di copia -, la stessa veniva risolta dall’Adunanza Plenaria in quest’ultimo senso.
Ciò in quanto l’unica modalità ontologicamente idonea a soddisfare la funzione di acquisire la documentazione extra iudicium ai fini della “cura” e “difesa” della situazione giuridica facente capo al richiedente l’accesso è l’estrazione di copia, ai fini di un eventuale utilizzo del documento in sede stragiudiziale e, a maggior ragione, in sede processuale, impossibile se non attraverso l’offerta in comunicazione e la produzione materiale della relativa copia in giudizio.
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