Ogni volta che la ghenga pregiudicati feat. Ragazzini scende in piazza a spaccare vetrine e incendiare cassonetti, le redazioni sono percorse da brusii eccitati: è la rivoluzione. Scoppierà la rivoluzione. Questa fantasia erotica ha una storia lunga come il nostro paese. L’abbiamo già vista un numero imprecisato di volte nel ventennio Berlusconiano, ancora prima durante le contestazioni del ’68 e del ’77 fino ai tempi di Masaniello, tutte inesorabilmente condite con l’elettrizzante corsivo: gli italiani faranno la rivoluzione. L’unico giornalista che sospirava scuotendo la testa era Indro Montanelli.
È un sogno frequentissimo, forse il primo di tutti
La sognano gli indipendentisti, chi ha perso le elezioni, persino Pietro Taricone nella prima edizione del Grande Fratello, corteggiando Cristina, le raccontava di sognare l’ingresso armato in parlamento con conseguente istituzione di una dittatura dei samurai. La rivoluzione la sognano gli italiani colti su Twitter e gli analfabeti su Facebook, la auspicano nei centri sociali come a Casapound, la prevedono i matusalemme che scrivono gli editoriali: questa volta gli italiani faranno la rivoluzione. Mettete tre bottiglie di prosecco su un qualsiasi tavolino da bar sport e al termine della terza si starà parlando di rivoluzione, giustizia sommaria, deportazioni.
Perché ce la auguriamo così tanto?
Innanzitutto perché chiamiamo “rivoluzione” quello che il nostro cervello intende per “sparare al vicino di casa ricco, al collega bravo e all’amante avida senza finire in prigione”. Poi perché i cambiamenti vengono dal coraggio o dalle tragedie; buona parte di noi è prigioniera di una vita che non gli piace e che non cambia perché terrorizzata dal “e se poi te ne penti?” diventato un classico. Terzo, perché nessuno vuole rischiare la pelle. Quarto, nessuno vuole vedere la propria moglie, la propria madre o i propri figli che piangono quando i Carabinieri gli sfondano la porta alle cinque di mattina.
Se anche ci fosse la rivoluzione, sarebbe per cambiare cosa?
Le rivoluzioni si fanno se il governo è illegittimo, ma noi italiani abbiamo continuato imperterriti a votare gente via via più incompetente. I peggiori imbecilli sono saliti al potere tra squilli di fanfare e applausi, non tra fucilate, perché il nostro popolo vedeva in loro la propria perfetta immagine.
Miracolati, nullafacenti, disonesti, millantatori, mitomani, truffatori, anarchici, infantili, ignoranti, creduloni, disfattisti e individualisti. Non si capisce cosa dovrebbe venire dopo. La Padania? Il popolo viola? Il popolo rosa? I forconi? I gilet arancioni? I meetup? Le Sardine? Chi partirà per aprire il parlamento come una scatoletta di tonno, questa volta?
Le modalità di esecuzione e l’alternativa
In realtà fare una rivoluzione, se c’è davvero necessità di farla, è abbastanza semplice. Ma servono persone dotate di cervello, competenze, determinazione, pianificazione, disposte a spostamenti, sacrifici economici e temporali, armi, anni e una valanga di soldi; insomma serve un piano vero portato avanti da gente che esiste, ma non ha alcun motivo di ribellarsi.
Il solo modo per convincerli a farlo è un’ideologia. Fai la rivoluzione se sai cosa vuoi ci sia dopo; altrimenti non si chiama rivoluzione, bensì insurrezione. Ed è quest’ultima che tutti, giornalisti e bar sport, sognano. Ma oggi non esiste un’ideologia collante. La sinistra si è frammentata in percentuali omeopatiche in modo che ognuno sia il partito di se stesso. La destra s’è rincoglionita sui social e riesce solo a parlare di clandestini. Gli intellettuali stanno su Twitter a litigare con l’account bot di Salvini e pubblicano memoir sulla propria vita.
Gli altri che bruciano monopattini e saccheggiano negozi lo fanno perché non hanno i mezzi culturali e mentali non solo per proporre un’alternativa valida, ma per concepirla. Chi farnetica di rivoluzione non ha idea di cosa o quali siano le infrastrutture critiche, di dove si trovano i centri di controllo e quali sono i protocolli di difesa. Non sa chi, dove e come garantisce la sicurezza nazionale. Non sa la differenza tra una tenenza e una caserma dei carabinieri.
Pensano alla rivoluzione come a una partita a CoD o di softair, ovvero sono cercopitechi allo zoo che guardano gli umani scorrere l’iphone e vorrebbero costruirne uno migliore. Un popolo che non riesce a decidere nemmeno se la Terra è piatta, che non riesce a mettere d’accordo sei famiglie nel condominio per un vaso di gerani, crede di poter coordinare 500,000 uomini con l’approvazione di 70 milioni che lo proclameranno lo Re.
Tranquilli, stimaticolleghi, in Italia non ci sarà mai alcuna rivoluzione.
Ma finché non riaprono gli stadi ci saranno le solite insurrezioni sparse.