Le malelingue di Pompei e molte analogie con il presente
Una raccolta di meraviglie scritte sui muri di Pompei, che non vengono nominate a scuola ma che insegnano assai.
Dato che la folla del 2020 s’ammassa nelle piazze per protestare contro il Covid come nel 1350 s’ammassava nelle chiese per protestare contro la peste, dimostrando così che la folla non cambia, m’è venuto in mente di vedere altri parallelismi. Prendiamo la celebre – e sfortunata – Pompei, dove nel primo secolo dopo Cristo era di gran moda pranzare fuori casa. Ci si trovava in edifici chiamati “termopili”, ovvero locali dove si servivano bevande e pasti caldi. Venivano preparati prima dall’oste, che conservava i piatti del giorno in gigantesche giare di terracotta.
Tra i locali più chic di Pompei c’era la termopile di Lucio Vetuzio Placido, che conservava gli incassi in una giara nascosta. Quando nel 79 d.C. accadde la tragedia, nella giara vennero ritrovate 1385 monete di bronzo, cioè 585 sesterzi, cioè più o meno 3500 euro. Questo ha molto confuso gli storici, che non si spiegavano come fosse possibile un incasso del genere. Alcuni si sono convinti fossero i risparmi dell’oste, altri hanno messo in discussione l’inflazione pompeiana. Che fossero risparmi o l’incasso della giornata, comunque, il povero Lucio Vetuzio non passò mai a ritirarli.
Un altro dettaglio della sua taverna, però, sono gli haters.
Sui muri della sua taverna sono stati rinvenuti graffiti emozionanti. Uno diretto a lui: «Magari le tue bugie ti si rivoltassero contro, oste! Vendi acqua ma bevi vino buono!». A questo ce ne sono di assai più poetici: «Vada a quel paese l’amore! Voglio spaccare le costole di Venere [la dea dell’amore, NdA] a bastonate e storpiarle i fianchi! Se lei mi può trafiggere il cuore, perché io non posso romperle la testa a bastonate?». Ancora: «Una ragazza dalla pelle bianca mi ha insegnato a odiare le brune. Io le odierò se ci riuscirò. Se non ci riuscirò, le amerò mio malgrado».
Poi ci sono quelle dediche tipiche dei maschi frustrati, pressoché mai variate dai bagni del liceo ai muri di Pompei. Uno critica le abilità di Sabina: «Sabina, tu lo succhi, ma non sai farlo bene». Storie di corna, ma senza il nome del malcapitato: «Guarda che tua moglie lo succhia a un altro. Ora ne sei al corrente». Amorevoli dettagli d’omosessualità che ci lasciano nel dubbio se si tratta di un coming out o di una rosicata: «Qui m’inchiappetto Rufo, caro a tutti. Disperatevi pure, oh fanciulle, e a te, altera vagina, porgo il mio commiato!»
E alla fine, sopra tutte, passa finalmente il moderatore con una frase che si può postare ancora oggi in molte pagine Facebook o sui muri di qualsiasi città: «Mi meraviglio, o muro, che tu non sia crollato sotto il peso di tante idiozie.»
Buona parte di questi commenti era scritta in latino volgare, segno che gli autori erano popolani ma capaci di leggere e scrivere. Nella storia l’analfabetismo non è sempre andato in crescendo. Ai tempi di Pompei chi viveva in città aveva accesso all’istruzione, mentre gli analfabeti vivevano in campagna. E anche questo può essere un parallelismo, nelle città digitali di oggi.