Aggiotaggio: che cos’è e perché è un reato secondo il codice penale

Pubblicato il 10 Novembre 2020 alle 13:42 Autore: Claudio Garau
Indice borsa

Aggiotaggio: che cos’è e perché è un reato secondo il codice penale

Non di rado nelle notizie di cronaca che compaiono nei tg o sui giornali, si sente parlare di aggiotaggio, ovvero un illecito punito sia penalmente che civilmente. Pensiamo ad esempio al caso giudiziario che ha coinvolto, negli ultimi anni, la banca Monte dei Paschi di Siena. A ben vedere, però, si tratta però di un termine di non immediata comprensione, a meno che non si sia degli operatori del diritto o degli esperti di economia. Vediamo allora, qui di seguito, che cosa comporta essere ritenuti responsabili di aggiotaggio e quali sono le caratteristiche di questo illecito. Facciamo chiarezza.

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Aggiotaggio: di che cosa si tratta?

Tecnicamente parlando, l’aggiotaggio consiste in un reato comune compiuto con la pubblicazione o la divulgazione di notizie false, esagerate o tendenziose o con altri artifici idonei a produrre un incremento o una diminuzione del prezzo delle merci, o dei valori ammessi nelle liste di borsa o negoziabili sul pubblico mercato, nella finalità di turbare il mercato interno dei valori o delle merci.

Il termine deriva da “aggio”, ossia cambio di valore, e ricordiamo altresì che un reato è detto ‘comune’ quando potenzialmente può essere realizzato da chiunque, indipendentemente dal possesso di una qualche specifica qualifica soggettiva, status o condizione.

Molto spesso il reato di aggiotaggio emerge laddove qualcuno compia un’azione speculativa per influire sull’andamento di un certo titolo in borsa. Per fare un esempio, qualche anno fa, in questo ambito, si è parlato molto delle indagini penali a carico di Unipol Sai.

L’art. 501 Codice Penale costituisce la disposizione di riferimento in tema di aggiotaggio: essa prevede pene nient’affatto esigue, contemplando multe salate – anche oltre i 20mila euro – e il rischio di una condanna alla reclusione.

L’aggiotaggio è un reato detto ‘a consumazione anticipata e di pericolo‘, giacchè non è obbligatorio – per integrarlo – un vero e proprio turbamento del mercato, ma esclusivamente l’idoneità della condotta ad essere di turbamento. Piuttosto, l’effettiva realizzazione del turbamento comporta un’ipotesi aggravata (circostanza aggravante). Ma secondo i giudici, detto pericolo deve essere configurabile come concreto ovvero percepibile direttamente, e non soltanto astrattamente configurabile o meramente presunto. Inoltre, essendo reato a consumazione anticipata, non è configurabile il tentativo di aggiotaggio.

Aggiotaggio: la finalità perseguita dal legislatore

L’articolo citato non tutela tanto l’interesse economico dei singoli operatori del mercato, quanto piuttosto l’interesse pubblicistico per il quale i prezzi debbono formarsi sempre sulla scorta delle fisiologiche regole del mercato economico o, piuttosto, per il legittimo e giustificato intervento delle pubbliche autorità competenti.

Ecco dunque che il legislatore penale ha inteso, con l’art. 501 citato, contrastare l’attività fraudolenta in quanto tesa all’inganno, di chi intende mettere in atto frodi collettive per influire illecitamente sui prezzi del mercato.

In buona sostanza, reprimendo penalmente l’aggiotaggio, si vuole garantire l’ordinato sviluppo della vita economica di un paese, in relazione alla circolazioni di titoli e/o merci.

Ricordiamo altresì che la norma penalistica sull’aggiotaggio, oltre a definire in modo chiaro ed espresso quella che è la condotta con rilievo penale, parla anche di “altri artifici“, come elementi caratterizzanti l’aggiotaggio stesso. Detta espressione va intesa come una sorta di ‘clausola generale di chiusura’, che mira a ritenere sanzionabili tutti quei comportamenti che non trovano una evidente collocazione tra quelli esplicitamente rilevanti per l’aggiotaggio, ma che – comunque – vanno puniti, in quanto costituiscono comunque raggiri o atti dolosi e fraudolenti.

L’elemento soggettivo: le precisazioni della Corte Costituzionale

La giurisprudenza ha integrato, in qualche modo, il dato normativo, con delle utili considerazioni in tema di elemento soggettivo del reato. Infatti, in un primo tempo i giudici hanno ritenuto obbligatorio il requisito del ‘dolo specifico’ di manipolare il mercato interno delle merci; in un secondo tempo, però, la Corte Costituzionale ha ragionato diversamente e ha affermato che il reato di aggiotaggio comporta il turbamento del mercato come necessaria ed inevitabile conseguenza della condotta. In termini tecnici – dunque – ed alla luce della tesi della Consulta, è corretto parlare di dolo generico e non di dolo specifico. Il dolo generico è rappresentato, in queste circostanze dalla volontà di causare – illecitamente e fraudolentemente – un aumento o una diminuzione dei prezzi. A seguito di dette indicazioni della Corte, la giurisprudenza ha fatto propria l’ultima tesi.

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Il reato di manipolazione nel Codice Civile

A questo punto, va rimarcato che la condotta sanzionata dall’art. 501 c.p. costituisce la forma comune di aggiotaggio, tuttavia l’ordinamento italiano ne sanziona anche la forma societaria e bancaria, ovvero quella civilistica, disciplinata dall’art. 2637 del c.c., intitolato “Aggiotaggio“. Infatti, si tratta di una fattispecie speciale del reato di cui al Codice Penale e riguarda chiunque diffonde notizie non veritiere, oppure compie operazioni simulate o altri artifici, che abbiano la potenzialità di provocare una significativa “alterazione del prezzo o di strumenti finanziari non quotati, o di strumenti finanziari per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato“. Ma rileva civilmente anche la condotta di aggiotaggio di chi finisce con l’incidere in modo significativo sulla fiducia e l’affidamento che il pubblico pone sulla stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari.

Concludendo, appare evidente – dal lato civilistico – che l’aggiotaggio influisce negativamente sulla fiducia nel mercato e sui prezzi, ledendosi le regole di concorrenza e di libera contrattazione tra privati. Ecco dunque giustificata la reclusione da uno a cinque anni per detto illecito, prevista dall’art. 2637 c.c. citato.

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L'autore: Claudio Garau

Laureato in Legge presso l'Università degli Studi di Genova e con un background nel settore legale di vari enti e realtà locali. Ha altresì conseguito la qualifica di conciliatore civile. Esperto di tematiche giuridiche legate all'attualità, cura l'area Diritto per Termometro Politico.
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