A differenza di moltissimi altri film fantasy, Harry Potter è diventato un classico paragonabile, in termini d’incassi e di successo tra il pubblico, a LOTR e Pirati dei Caraibi. Hollywood è rimasta allibita da quello tsunami di soldi e ha investito moltissimo tentando di replicarlo, totalizzando un flop dietro l’altro. La bussola d’oro aveva dentro attori VIP ed effetti speciali, e fu un disastro. Eragon partiva avvantaggiato dall’avere già una fanbase, c’erano già sceneggiature per i sequel.
Fu un tale flop che vennero annullati.
Negli ultimi anni sono usciti dei prequel di Harry Potter, che non sono andati nemmeno vicini agli incassi della prima saga. Ha la stessa maledizione de Lo Hobbit, che a fronte di costi mostruosi non è riuscito a entrare né nel cuore del pubblico, né nel suo portafogli. L’unica saga fantasy diventata praticamente una religione è Guerre stellari, ma è un caso talmente a parte che lo tralasciamo.
Cos’ha Harry Potter che gli altri fantasy non hanno?
Ha colpito talmente l’immaginario umano che ci hanno fatto un parco a tema e dei musei. Oggi, a distanza di anni, alcuni adolescenti hanno creato delle correnti di interior design e di abbigliamento chiamati Dark academia, una specie di remix dell’estetica del primo ‘900. Steampunk, insomma, ma meno aggressivo e più malinconico.
C’è un motivo se il fast fashion ha improvvisamente riscoperto le fantasie classiche e le (imitazioni delle) stoffe belle. Tutto questo è partito da libri per bambini e un film con effetti speciali quasi assenti e, quando presenti, di livello bassino. Animali fantastici e dove trovarli ha CG allo stato dell’arte in pressoché qualsiasi inquadratura. Perché non funziona?
Perché allo spettatore non frega niente degli effetti speciali.
Sa benissimo che le lucine blu sono fatti con il computer, cioè sono finti. Non sono più gli anni ’70 in cui la gente mandava lettere ai monasteri shaolin supplicandoli di accettarli così da imparare a volare. Quello che ha fatto innamorare tre generazioni di HP, a mio avviso, sono tre punti chiave. Il primo è che la magia viene trattata come la Forza di Guerre stellari: qualcosa che c’è, ma si intravede e cresce pian piano.
Un vecchio che ruba le luci dai lampioni, l’ombra di un gatto che diventa strega, lettere che entrano dal camino, bambini a cui spunta la coda, figurine in movimento, cioccolatini animati, cappelli che parlano e candele che fluttuano. La seconda è che tutti, anche i più cinici, hanno il desiderio segreto di ritornare a vedere la realtà gli occhi dei bambini. Quelli che rendevano il mondo un posto vasto, oscuro e bellissimo, in cui non ti poteva capitare nulla perché c’erano gli adulti.
E gli adulti erano stupidi, ma sapevano le cose.
Il terzo è l’estetica pura e come viene presentata. Quella dark academia che piace alle minorenni. Diagon alley, la casa dei Weasley, l’arrivo a Hogwarts, sono posti sempre trasandati, ma solidi. I camini sono sporchi, le cucine disordinate, i negozi hanno ragnatele, i tappeti sono usurati, i boccali di peltro ammaccati e i muri crepati.
Non c’è niente di nuovo né moderno, in HP. Entrare in quei posti ti fa sentire immediatamente a tuo agio, perché sono accoglienti. Non è un loft minimal con le luci fuxia, i mobili lucidi e il pavimento a specchio. Ogni luogo di HP è la casa di tua nonna, ma vista con gli occhi di quand’eri bambino.
La quarta è che i personaggi sono bambini complessati, scemi, saccenti, impacciati, soli e spaventati. In una parola, sono bambini veri. Noi vediamo il mondo non solo attraverso i loro occhi, ma grazie alla magia lo viviamo. Abbiamo le stesse curiosità, e cresciamo assieme a loro. Harry, Ron ed Ermione sono nostri compagni di classe.
Ed è solo grazie a questo che tolleriamo idiozie o crateri di trama, che negli altri film ci avrebbero fatto incazzare. Il Quidditch è uno sport idiota. Il calice di fuoco è una barbarie e nessuna famiglia manderebbe il figlio in una scuola che organizza tornei mortali. Gli insegnanti avrebbero la busta delle lettere piene di rinvii a giudizio. Il sistema giudiziario pare uscito dalla mente di Hitler. Non importa.
È così che vediamo queste cose da bambini.