Risoluzione contratto: come funziona e quando si può attuare
Abbiamo già affrontato più volte concetti del diritto per i quali è utilizzata una terminologia che non a tutti può risultare di immediata comprensione, giacchè non di rado rilevano espressioni che soltanto gli ‘addetti ai lavori’ conoscono bene. Le abbiamo come di consueto spiegate ed esposte, ed anche di seguito faremo lo stesso, con riferimento alla locuzione ‘risoluzione contratto’: che cosa significa esattamente? Vediamolo.
Risoluzione contratto: che cos’è in concreto
Onde non confondere i concetti e non scambiare, ad esempio, la risoluzione contratto con la rescissione, che rileva laddove la parte di un contratto ha assunto obbligazioni a condizioni inique o sussiste una sproporzione tra prestazioni dei contraenti, spieghiamo subito che cosa si deve intendere per risoluzione.
La risoluzione del contratto (di cui agli artt. 1453 e ss. del Codice Civile) è un istituto che si collega ad una vera e propria disfunzione del rapporto contrattuale, comparsa in un secondo tempo rispetto alla data di sottoscrizione, e prodotta da una delle fattispecie espressamente indicate dal Codice stesso. Attenzione però: la risoluzione opera comunque, ovvero anche nel caso in cui all’origine il contratto cui si riferisce, era stato correttamente sottoscritto e non aveva vizi.
Il Codice prevede tre tipologie di risoluzione contratto:
- per inadempimento;
- per impossibilità sopravvenuta;
- per eccessiva onerosità.
Vediamole separatamente.
Risoluzione contratto: l’inadempimento
Laddove uno dei contraenti, ovvero i soggetti che hanno sottoscritto il contratto, non rispetta le proprie obbligazioni, l’altra parte può rivolgersi al giudice per ottenere la risoluzione contratto. Però, al fine di poterla conseguire, deve trattarsi di:
- prestazione non adempiuta ma essenziale per il contratto;
- inadempimento grave.
Va da sè che la gravità dipenderà dalle circostanze concrete e spetterà al giudice stabilire se ricorre oppure no. Preferibile è però che siano le parti a indicare, con una apposita clausola contrattuale (detta ‘risolutiva espressa’), quali sono le prestazioni essenziali e quando l’inadempimento è grave e conduce alla risoluzione contratto. In dette circostanze, il giudice non è coinvolto e laddove si verifichi un inadempimento, la parte che non ha ottenuto la prestazione potrà inviare all’altra una diffida ad adempiere con raccomandata a.r. Se l’inadempimento perdura, il contratto è risolto, ovvero sciolto, senza necessità di provvedimento di un magistrato.
Ricordiamo altresì che la risoluzione contratto conduce allo scioglimento di ogni obbligazione che scaturiva dal contratto, per le parti coinvolte, ed anche conduce alla restituzione delle prestazioni che invece siano già state compiute. Inoltre, può spettare il risarcimento nei confronti di chi ha subito l’inadempimento del contratto. Ma l’interessato deve provare i danni patiti.
L’impossibilità sopravvenuta della prestazione
Un’altra causa di risoluzione contratto è legata alla cosiddetta impossibilità sopravvenuta, ovvero l’evento per il quale una certa prestazione divenga di impossibile attuazione, per una causa che non può essere attribuita a nessuno dei contraenti, che pertanto non hanno alcuna responsabilità. Pensiamo ad eventi eccezionali come un fortissimo temporale o un terremoto, ad esempio, che abbiamo influito sulla possibilità di eseguire una certa prestazione in contratto.
In condizioni come queste il contratto subisce la risoluzione in via automatica, ovvero di diritto. Vero è che in dette circostanze, non c’è responsabilità di nessuno e quindi non ci sono gli estremi per chiedere il risarcimento danni. In altre parole, la risoluzione contratto per impossibilità sopravvenuta conduce al mero scioglimento del contratto e all’obbligo di riconsegnare le prestazioni già eventualmente rese.
Tuttavia, il giudice può essere coinvolto laddove un contraente non si adegui autonomamente al mutato assetto e decida di non restituire la prestazione ottenuta. In dette circostanze, è usuale chiedere il risarcimento danni. Non è detto però che la prestazione non ritorni possibile: se succede, il debitore deve adempiere soltanto se:
- ne ha i mezzi necessari;
- il creditore ha conservato l’interesse all’adempimento del debitore.
Eccessiva onerosità sopravvenuta
L’elenco della cause di risoluzione contratto prosegue con l’ipotesi dell’eccessiva onerosità sopravvenuta. In dette circostanze, ovvero nei contratti con prestazioni corrispettive, se la prestazione di uno dei contraenti è diventata troppo onerosa a seguito di eventi imponderabili e straordinari, la parte che sarebbe tenuta a svolgerla, può chiedere al magistrato la risoluzione contratto. Se l’altro contraente vuole impedire lo scioglimento, dovrà proporre una sostanziale modifica delle condizioni contrattuali. Tecnicamente parlando, detta ipotesi di risoluzione opera però solo con riferimento ai contratti cd. ad esecuzione periodica o continuata o a esecuzione differita della prestazione. Nel dettaglio, l’eccessiva onerosità rileva quando si registra un consistente squilibrio tra il valore economico delle prestazioni in gioco, tanto da produrre un iniquità insormontabile della prestazione, pur ancora possibile.
E’ il magistrato a stabilire quando c’è eccessiva onerosità, ovvero quest’ultima è accertata dal giudice di merito, che dovrà operare un raffronto tra i valori delle prestazioni all’origine e alla data in cui vi sarebbe l’esecuzione delle stesse. Il contraente chiamato in causa può però – come detto sopra – trovare un compromesso con l’altra parte del contratto, offrendo nuove condizioni contrattuali, al fine di riportare l’equilibrio economico e impedendo il realizzarsi della risoluzione contratto per intervento del giudice.
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