Ha scatenato incredulità e sgomento il video di ragazzini che si azzuffano al Pincio. Un tripudio di “sabato di violenza”, “babygang”, e altre meraviglie che sta tenendo banco da giorni sui social. È colpa dei videogiochi? Del lockdown? È un segno del malcostume dilagante? Purtroppo gli adolescenti si trovano per picchiarsi fin dall’alba dei tempi; serve a guadagnarsi il rispetto del branco, a sfogare il testosterone e la frustrazione sessuale, ma anche a imparare a difendersi.
Se non lo fai a 16 anni, cresci credendo le scazzottate siano chissà che, ti sale la paura e finisci nelle mani di cialtroni che promettono d’insegnarti mosse magiche contro manichini consenzienti. Se invece sei nato in provincia o in periferia, sai che sono baggianate. Le zuffe non hanno nulla a che fare con quelle che si vedono. Finisci a rotolarti per terra in un attimo, ma è soprattutto l’ambiente a essere diverso.
A Mestre, nel nostro gruppo, pressoché tutte le risse le risolveva Luca.
A differenza di noi scapestrati, drogati, semianalfabeti e di scarsi valori morali, Luca era un ragazzo per bene con una famiglia rispettabilissima. Avrebbe potuto passare per uno dei tanti ragazzi della borghesia mestrina con le New Balance e l’eskimo beige della Woolrich, ma non era mai nel posto giusto.
Non lo vedevi in piazza o nelle pizzerie belle: stava sempre in quella topaia che era il Pool&Company a fumare Marlboro light e giocare a Point Blank. Suo nonno era istruttore al 7° Alpini, suo padre era fabbro, e lui aveva due avambracci che sembravano vagoni merci, ma un animo pacioso. Vederlo di fianco ad Atza, un metallaro di 50 chili con occhiaie, borchie e capelli lunghi, era spassoso.
Luca sapeva individuare in un colpo d’occhio il problema e la soluzione.
Per esempio, aveva imparato presto che il più rumoroso è il meno pericoloso e viceversa. Una rissa inizia con la provocazione visiva, poi verbale, si alza di tono e raggiunge gli insulti a cui seguono spinte, ulteriori spinte, un tentato destro e un calcio in pancia fino all’arrivo degli amici/fidanzata che ti portano via. Luca aveva un approccio semplificato: tagliava i prodromi.
Una volta, al Pool, arrivò una compagnia di idioti che lo prese di mira per il suo essere fighetto. Erano in sei, noi in quattro sparpagliati per i vari giochi. Quello che lo infastidiva era il più piccolino e rumoroso. Luca non gli rivolse la parola, non lo spintonò, non tentò nemmeno di colpirlo. Afferrò lo sgabello di legno e acciaio su cui stava seduto e lo calò con entrambe le braccia su quello al centro del gruppo, che non aveva aperto bocca.
Andò giù come un sacco di patate, scatenando il panico nel gruppetto che se la diede a gambe.
Fu anche la prima volta che vidi qualcuno rantolare, e non fu un bello spettacolo. A noi faceva ridere perché i rantoli sono identici al russare. Arrivò il gestore, che era un ex pugile. Lo tirò su di peso e lo buttò fuori, poi chiamò l’ambulanza. Luca gli aveva spaccato una clavicola e causato un trauma cranico, ma naturalmente nessuno lo disse. Arrivò la polizia e tutti eravamo assai lontani. Quando gli domandammo perché avesse fatto una cosa simile, lui spiegò che chi urla, provoca e gesticola non vuole farti del male, ma è costretto a farlo per dimostrarsi degno membro del gruppo.
«Se uno ti tira un pugno in faccia, tu mica gli colpisci la mano» disse «È stupido.»
Aveva capito che il gregario ti attacca per compiacere il leader, ma se tu attacchi il leader, sarà lui a doversi dimostrare degno agli occhi dei gregari. Sono meccaniche sociali straordinariamente bestiali e ingenue, viste con gli occhi di un adulto responsabile. Ma quando sei minorenne vivi in un mondo diverso, di regole, strategie e problemi diversi, che poi evolvono e diventano una specie di vaccino ai problemi degli adulti.