Diritto all’oblio per chi è estraneo a fatti giudiziari. Lo dice il Garante

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Diritto all’oblio per chi è estraneo a fatti giudiziari. Lo dice il Garante

Abbiamo già parlato diffusamente di diritto all’oblio online, ovvero un concetto del diritto che è frutto delle nuove tecnologie e della diffusione estesa che esse ormai hanno nella società odierna. Qui di seguito vogliamo riconsiderare l’argomento sotto un differente punto di vista, ovvero il diritto all’oblio che scatta per chi, alla luce delle indagini e dei processi, è risultato estraneo a fatti e vicende giudiziarie. Vediamo più da vicino.

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Non un giudice, ma il Garante della Privacy ha stabilito che Google e tutti gli altri motori di ricerca, hanno il dovere di eliminare gli articoli collegati a chi è poi stato ritenuto estraneo in un processo e alle responsabilità in esso emerse. Detta operazione prende il nome – nel linguaggio tecnico – di ‘deindicizzazione’.

Detta figura di garanzia ha infatti stabilito che deve essere applicato il diritto all’oblio verso tutti quelle informazioni, contenute in pubblicazioni sul web, che sono tali da arrecare un impatto sproporzionato perché non bilanciato da un interesse pubblico.

Recentemente, il Garante della Privacy ha infatti ritenuto fondati i reclami effettuati da due privati cittadini e ha imposto a Google di eliminare o rimuovere url agli articoli che riportavano ai loro dati personali. I due soggetti erano accomunati dal fatto che entrambi venivano citati nell’ambito di vicende giudiziarie che, invece, riguardavano soltanto altre persone e non loro: infatti, nei confronti di essi mai erano statti emessi provvedimenti giudiziari, così come acclarato dai cd. certificati penali. Ecco allora chiaro lo scopo del del reclamo al Garante: eliminare ogni fonte di danno alla figura ed alla professionalità dei soggetti citati negli articoli, tramite rimozione degli url.

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In verità, Google si era opposta a detta conclusione, sostenendo che non vi fossero gli estremi per far valere il diritto all’oblio. Ma il Garante ha dato ragione ai privati, giacchè “la perdurante reperibilità in rete degli articoli associati ai nominativi dei reclamanti crea un impatto sproporzionato sui loro diritti, non bilanciato da un interesse pubblico a conoscere notizie che non hanno avuto alcun seguito giudiziario a loro carico“.

Concludendo, abbiamo dunque una interessante statuizione da parte del Garante che sicuramente costituisce un precedente cui fare riferimento per eventuali futuri casi analoghi.


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