Integrazione trattamento minimo 2020: importo e come funziona
Chi è titolare di una pensione di ridotto ammontare, ossia al di sotto del minimo vitale, deve sapere che ha diritto ad una maggiorazione dell’assegno, vale a dire quella che in gergo è denominata ‘integrazione al trattamento minimo‘. Detto meccanismo consente di portare le pensione più basse al livello del ‘minimo vitale’, aggiornato anno dopo anno sulla scorta dei dati Istat sull’inflazione e in virtù della perequazione. L’anno scorso l’ammontare del trattamento minimo era corrispondente a 513,01 euro al mese. Quest’anno l’integrazione al trattamento minimo subisce una lievissima variazione verso l’alto, così come confermato da una importante circolare Inps dell’anno scorso. Ma vediamo più nel dettaglio.
Integrazione al trattamento minimo: il contesto di riferimento
Abbiamo appena detto che l’integrazione al trattamento minimo è una prestazione di sostegno economico Inps, che subisce sempre modifiche: quest’anno avrebbe dovuto attestarsi sui 515,07 euro, per effetto della perequazione, vale a dire l’aumento sulle pensioni per effetto dell’inflazione, corrispondente allo 0,4%. Tuttavia, gli incrementi sono stati rivisti e l’integrazione trattamento minimo portata al valore di 515,58 euro mensili e a 6.702,54 euro all’anno per il 2020 (sono contate infatti 13 mensilità). La situazione permane in evoluzione, essendo l’aliquota provvisoria. Ciò che appare chiaro, però, è che si tratta di lievissimi aumenti.
Coloro che hanno una pensione di ridotto importo devono però ricordare che esistono anche diversi strumenti di supporto:
- maggiorazione sociale, ovvero una forma particolare di incremento delle prestazioni previdenziali e assistenziali verso persone con un’età almeno pari o superiore a 60 anni che risultano svantaggiate economicamente. Il versamento di detta maggiorazione scatta soltanto a seguito di positiva verifica da parte dell’Inps del possesso, in capo a colui che fa domanda, di specifici requisiti di età e di reddito;
- incremento al milione, ovvero una specifica maggiorazione sociale, prevista dal primo gennaio 2002, dall’articolo 38 della legge 448/2001 che è destinata ai pensionati sopra i 70 anni, titolari di prestazioni previdenziali ed assistenziali la cui somma sia inferiore al milione delle vecchie lire – ovvero 651 euro al mese ai valori di oggi. Questo incremento è versato ai titolari di trattamenti previdenziali a qualsiasi titolo versati dall’assicurazione generale obbligatoria e dai fondi rispetto a essa sostitutivi od esclusivi (incluse le pensioni ai superstiti); ai titolari di prestazioni assistenziali come l’assegno sociale, la pensione sociale, nonchè agli invalidi civili totali, sordomuti e ciechi civili assoluti.
Queste due misure di sostegno possono far arrivare la pensione anche ad un valore superiore ai 650 euro mensili.
Quali sono i trattamenti integrabili al minimo?
Abbiamo detto che l’integrazione trattamento minimo serve in pratica ad adeguare le pensioni al costo della vita, ma non tutte le pensioni possono ricevere l’integrazione. Infatti, occorre rimarcare che l’integrazione trattamento minimo non vale per le pensioni versate, applicando soltanto le regole del sistema contributivo, vale a dire le pensioni di chi ad esempio ha iniziato a versare contributi dopo il 1996.
Comunque, in linea generale, sono integrabili le pensioni dirette – come ad es. quelle di anzianità – e quelle indirette – come ad es. la pensione ai superstiti – versate dall’Inps. Invece, per quanto riguarda le casse di previdenza dei liberi professionisti e le relative pensioni, la possibilità dell’integrazione è legata a quello che dice il regolamento adottato dall’ente stesso, in materia di prestazioni pensionistiche.
Requisiti di reddito per sposati e non
Inoltre, rilevano requisiti di reddito. In rapporto all’adeguamento pensioni 2020, i soggetti non coniugati potranno contare sull’integrazione trattamento minimo:
- in modo pieno, con un reddito annuo non al di sopra dei 6.702,54 euro, ovvero il trattamento minimo;
- in modo parziale, con un reddito annuo sopra i 6.702,54 euro, fino a 13.405,08 euro (due volte il trattamento minimo annuo).
Se invece il reddito supererà il valore di 13.405,08 euro – ovvero due volte il valore del trattamento minimo in un anno – non scatterà l’integrazione. Si tratta pur sempre di valori validi per il 2020, legati alla rivalutazione delle pensioni del +0,5%, così come confermato da Inps e Ministero dell’Economia.
Se si tratta di pensionati sposati, i limiti di reddito saranno collocati più in alto, ma sarà necessario tener conto anche del reddito del coniuge. Pertanto, il diritto all’integrazione trattamento minimo 2020 varrà:
- in modo pieno, con reddito annuo totale, proprio e del coniuge entro la somma di 20.107,62 euro annui e reddito del pensionato entro 6.702,54 euro all’anno;
- in modo parziale, con reddito annuo totale proprio e del coniuge sopra i 20.107,62 euro, ma entro i 26.810,16 euro – il quadruplo del trattamento minimo all’anno – e reddito del pensionato entro i 13.405,08 euro all’anno.
Pertanto, se il reddito personale e del coniuge oltrepassa i 26.810,16 euro all’anno, o se il reddito del pensionato va oltre la soglia di 13.405,08 euro all’anno, non scatta alcuna integrazione trattamento minimo.
Concludendo, non tutti i redditi devono essere considerati per capire se sono superate o meno le soglie limite per il diritto al trattamento minimo. Infatti sono da escludere, ad esempio, il TFR, i redditi esenti da Irpef o il reddito della casa di abitazione. Tuttavia, in caso di dubbi l’interessato farà bene a rivolgersi al proprio consulente previdenziale di fiducia.
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