Donato Bilancia iniziò male la propria vita. Nato nel luglio del 1951, era il figlio minore di un impiegato e una casalinga emigrati da Potenza prima ad Asti, poi a Genova. In vacanza tornavano in Lucania, dove il padre si divertiva ad abbassargli i pantaloni davanti a tre zitelle per mostrare la microdotazione del figlio, che all’epoca aveva sette anni. Sua madre non era d’aiuto. Esibiva al balcone la seconda sfortuna di Donato, l’enuresi notturna. Come se non bastasse, aveva le gambe atrofiche. L’unico amico è suo fratello maggiore, Michele, che è anche il suo confidente. È lui a suggerirgli d’imbottirsi le mutande con l’ovatta.
A dodici anni, Donato si dedica a rubare dalle tasche dei compagni di scuola.
Ha un’adolescenza da delinquentello di provincia, e come unico amico suo fratello Michele. Si vergogna del suo nome, preferisce farsi chiamare “Walter”. Comincia col rubare panettoni, poi qualcosa di più impegnativo come biciclette e motorini. A vent’anni scassina la sua prima cassaforte. A 22 anni finisce in carcere. Dietro le sbarre si diploma in ragioneria e si laurea in Progettazione e gestione del turismo culturale. Una fuori apre una ferramenta, ma è solo una facciata. Dentro crea passepartout, clona chiavi, studia come aprire le casseforti.
Nel 1982 suo fratello viene a sapere che la moglie vuole il divorzio, così prende il figlio di quattro anni e lo porta in stazione a vedere i treni. All’arrivo di un Intercity, ci si butta sotto con lui. Per Donato è un brutto colpo, e compensa la solitudine col gioco d’azzardo. I soldi che guadagna o ruba finiscono in quei tristissimi viaggi all-inclusive per ludopati che vengono incanalati come salmoni appena scesi dall’aereo a Las Vegas, a Singapore, a Montecarlo o a San Remo. Quando non può viaggiare, Donato scialacqua i propri soldi in una bisca della mafia a Pieve Ligure, gestita da Giorgio Centanaro e Maurizio Parenti.
Giorgio sa come tenersi cari i polli migliori. Fa amicizia con Donato, ci esce insieme, lo invita addirittura a pranzo con la sua famiglia. Se al tavolo perde, gli fa credito. Se perde troppo, gli annulla la giocata e gli restituisce i soldi. A un certo punto gli propone di entrare in società con la bisca. Se vince, oltre alla vincita, si tiene anche il 10% degli incassi. Donato ne è entusiasta e accetta.
Sono i mesi più belli della sua vita.
Compra una Mercedes nera, si fa vedere in giro con escort di altissimo profilo, fa lo splendido con amici e conoscenti. Un giocatore nella sua bisca finisce i soldi e si offre di impegnare la propria pistola, una Smith&Wesson cal.38 che Donato s’intasca senza problemi. Lavora senza sosta per essere un ladro gentiluomo, un tombeur des femmes, un giocatore d’azzardo d’alto livello. Compra abiti e cravatte costose, cercando di somigliare all’uomo che vorrebbe essere.
In sette mesi perde 500 milioni di lire
Si arrabbia, ma non fiuta la truffa perché considera Giorgio il suo migliore amico. Poi, una sera, mentre sta giocando se ne va in bagno e nella stanza di fianco sente fare il suo nome. Appoggia l’orecchio al muro e il mondo gli crolla addosso. Centenaro e Parenti lo stanno prendendo in giro. Lo chiamano “il belinetta”, ridono di lui che si crede chissà chi mentre è solo uno sfigato che si fa derubare da tutti, va solo con donne a pagamento mentre le altre lo friendzonano, ed è universalmente considerato un babbeo. Il personaggio che Donato s’era creato in testa esplode.
Decide di ucciderli e di uccidersi.
Il 16 ottobre 1997 arriva sotto casa di Giorgio. Si fa aprire, una volta dentro tira fuori la pistola, lo obbliga a spogliarsi e lo immobilizza con del nastro adesivo, rinfacciandogli tutto l’odio che prova. Giorgio ha così paura che se la fa addosso. Soddisfatto, Donato gli preme un cuscino sulla faccia e lo soffoca. Poi fa sparire i nastri adesivi e taglia la corda. Quando la polizia trova il corpo, credono si tratti di morte naturale; era cocainomane, era al soldo della mafia, non ci sono tracce di scasso e non mancherà a nessuno. A casa, Donato pianifica già l’omicidio di Parenti.
La notte del 24 ottobre arriva sotto l’appartamento e parcheggia. Maurizio e sua moglie, Carla Scotto, arrivano poco dopo scortati da una guardia giurata. Donato aspetta che se ne vada, non ha fretta: sa che alle 4 di mattina Maurizio scende a prendere il giornale e una focaccia. Quando rientra, lui sbuca fuori e lo prende nell’androne. Prima si offre di vendergli degli orologi rubati, ma quando Maurizio lo manda a quel paese tira fuori la pistola e si fa guidare dentro. Fa svegliare la moglie, che lavorava come croupier nella bisca, li spoglia entrambi e li costringe ad aprire la cassaforte. Dentro ci sono due Rolex e 13 milioni in contanti.
Li lega e imbavaglia con il nastro isolante al letto, gli spiega di aver sentito cosa dicevano di lui, di aver capito di essere stato truffato, di avere ucciso lui Giorgio e che ora ucciderà loro. Si toglie le scarpe, sale sul letto e spara un colpo alla tempia di Maurizio e uno nel petto della moglie. Lei è ancora viva e ne spara un altro, poi se ne va chiudendo la porta. Il suo proposito di suicidarsi è svanito, ed è stato sostituito dal recuperare quanti più soldi possibile. La sera del 27 ottobre va a casa degli orafi Bruno Solari e sua moglie, Marialuigia Pitto. Gli offre di fare da ricettatori comprando i Rolex delle sue vittime precedenti.
«Li hai rubati? Queste cose non si fanno, chiamo la polizia» grida Bruno.
Donato li uccide a revolverate, ruba quel che trova e scappa.
I soldi durano poco, col suo stile di vita
Il 13 novembre decide di rapinare un cambiavalute, Luciano Marro, che conosceva già. I cambiavalute sono persone che vivono dietro muri e vetri blindati, ma Donato si apposta dietro casa di Luciano e scopre che ogni sera esce a buttare la spazzatura lasciando la porta blindata aperta. È un attimo, ma è abbastanza. Gli salta addosso mentre rientra con la pistola in pugno, gli fa aprire la cassaforte e tirare fuori 45 milioni. Poi lo uccide a sangue freddo svuotandogli addosso tutto il caricatore di proiettili finlandesi Lapua Patria C 358, fuori produzione da 15 anni e con percentuali anomale di salnitro nella polvere. Non solo: Donato gli lima la punta, in modo che si frammentino all’impatto.
A questo punto, le cose cambiano.
Dalla sensazione di rivalsa, Donato inizia a diventare qualcos’altro. Ha sempre la sua vita mondana, mantiene il personaggio del grand’uomo generoso e affabile, mentre al buio, in privato, sfoga chi è davvero. Tiene d’occhio Giangiorgio Canu, un metronotte che va e viene da un palazzo per fare un servizio di giardinaggio. Non ha niente contro di lui, ma è un bersaglio facile. Clona la chiave del palazzo, che per lui “è facile come bere un caffè”, poi il 25 gennaio 1998 si intrufola nel palazzo e lo aspetta. Quando arriva gli punta la pistola addosso e si fa dare il portafogli, ma non ci guarda nemmeno dentro. Gli butta il giubbotto in faccia per non guardarlo negli occhi, poi gli spara in testa e se ne va.
È appena diventato un serial killer, e i soldi diventano via via più marginali.
Per qualche mese non fa nulla, poi decide di dedicarsi alla categoria preferita dai frustrati: le prostitute. Sono vittime perfette. Vivono ai margini della società, spesso sono straniere o comunque distaccate dalla famiglia e a nessuno importa mai se vengono uccise. Il 9 marzo 1998 va con Stela Truya, vicino a una scogliera. Terminato il rapporto le chiede di guardare il mare tutta nuda, e quando lei lo fa le spara nella nuca.. Il 18 marzo tocca a Sljudmyla Zuskova, con cui consuma un rapporto, le spara in testa e la rapina. I soldi tornano a essere un problema. Il 20 marzo 1998, va da un altro cambista, Enzo Gorni. Scopre che c’è la moglie, fa una domanda qualsiasi “a quanto sta il franco?” e torna la sera, quando è solo.
Entra spingendolo dentro con la pistola in pugno, gli svuota la cassaforte trovandola quasi vuota, poi gli scarica addosso tutto il caricatore perché crede il cambista abbia tentato di raggiungere la pistola che teneva nascosta. Che sia vero o meno, non si saprà mai. In parecchi sentono gli spari e lo vedono uscire armato scappando su una Mercedes nera, ma il suo identikit è, ironia della sorte, terribilmente accurato e altrettanto inutile. Donato Bilancia è un uomo qualunque, senza tratti distintivi.
Poi c’è la svolta.
Il 24 marzo si apparta con con Lorena Castro, una trans. Lei capisce che qualcosa non va, approfitta di un istante di e taglia la corda. Donato fa per rincorrerla quando arrivano due metronotte, Massimiliano Gualillo e Candido Randò, quest’ultimo con un piede già sull’altare. Donato li abbatte a revolverate, poi spara a Lorena che però s’è nascosta in un cespuglio. La segue con l’udito e spara il resto del caricatore. Un proiettile la ferisce di striscio. La lascia per morta, torna indietro e finisce i due metronotte con un colpo alla testa. Appena ha finito i colpi, Lorena spunta fuori dalla boscaglia e lo aggredisce. Lui deve abbatterla usando il calcio della pistola e scappa. Lorena è la prima a fornire un identikit più dettagliato.
il 29 marzo, Donato si apparta con la prostituta Tessy Adodo e, consumato il rapporto, la uccide. Ormai è diventato una belva che non sa stare senza uccidere per molto. Il 12 aprile 1998, sull’Intercity La Spezia-Venezia, usa un passepartout per entrare nel bagno, dove trova Elisabetta Zoppetti e le spara nella tempia immediatamente, prima che abbia tempo di gridare. A bordo del treno non se ne accorge nessuno, tanto che la Zoppetti viene trovata dagli addetti alle pulizie a fine corsa. Il 14 aprile tocca a un’altra prostituta, Kristina Valla. Ha un rapporto sessuale, poi le mette il giubbotto in testa e le spara.
Intanto, nella caserma dei Carabinieri di Genova, si presenta un uomo. Dice di continuare a ricevere multe per una macchina che ha venduto l’anno scorso, e che queste multe arrivano sempre dai posti in cui avvengono delitti. I Carabinieri vanno a vedere chi è il nuovo proprietario e trovano Donato Bilancia, che nel frattempo, per i giornali, è diventato “il killer dei treni”. Lui ne è felice e replica. Il 18 aprile sale sul diretto 2888 Genova Ventimiglia, entra con il passepartout nel bagno e trova Mariangela Rubino. La costringe a inginocchiarsi, poi le spara nella nuca e si masturba sul cadavere.
I Carabinieri ormai gli sono sotto e lo stanno pedinando. Raccolgono un mozzicone di sigaretta lasciato da lui in un bar e fanno il confronto con il DNA del liquido seminale. È lui. Il 20 aprile 1998 Donato Bilancia esce da un ristorante senza pagare, va dal benzinaio Giuseppe Mileto e gli chiede se può fargli credito per la benzina. Giuseppe rifiuta e diventa l’ultima vittima di Donato. Lo arrestano poco dopo senza che lui opponga resistenza. Davanti ai magistrati confessa tutto senza battere ciglio.
«Ha ucciso tutte quelle persone solo perché era arrabbiato col mondo?» gli domanda il magistrato.
«Belin, le sembra poco?» risponde.
Si becca un ergastolo per ogni vittima assassinata.
Negli anni, Donato non chiederà mai scusa per le donne uccise, solo per gli uomini. I metronotte, dirà, “sono state un errore”. Il Covid19 lo uccide in carcere il 17 dicembre dopo una serie TV su di lui, svariati libri e innumerevoli articoli finiti nel vuoto. Bilancia non ha mai fatto breccia nell’immaginario collettivo del popolo, nonostante giornalisti e opinionisti abbiano tentato di tutto.