Responsabilità medica: la percentuale di sopravvivenza è un fattore decisivo
Responsabilità medica: la percentuale di sopravvivenza è un fattore decisivo
La responsabilità medica è un tema affrontato non di rado nelle aule di giustizia: d’altronde anche i casi di cronaca che compaiono sui giornali spesso rilevano colpe e omissioni del personale ospedaliero nell’esercizio delle proprie funzioni. Poco tempo fa abbiamo visto un’ordinanza della Cassazione che sottolinea che chi cura deve operare diligentemente, ma non può garantire il buon esito dei trattamenti. Qui di seguito, invece, vogliamo vedere la responsabilità medica sotto un altro punto di vista: secondo una recente sentenza della Cassazione, la n. 36431 del 2020, la percentuale di sopravvivenza – in base alla specifica patologia – è da considerarsi un fattore decisivo per inquadrare, o meno, la responsabilità medica a seguito della morte di un paziente. Facciamo chiarezza.
La questione al vaglio della Corte di Cassazione, da cui la sentenza, riguardava un paziente affetto da una grave patologia, necessitante un immediato intervento chirurgico. La percentuale di sopravvivenza era però non elevata, attestandosi sul 70%. Nella vicenda, emerse che la struttura ospedaliera in cui era ricoverato il paziente non era in grado di svolgere tale complessa operazione: ecco allora la necessità di trasferire la persona in un’altra struttura idonea a mettere in atto l’iter, ma con indubbi riflessi in tema di responsabilità medica, giacchè il trasferimento avrebbe comportato comunque un ritardo nell’effettuazione dell’intervento stesso.
Il punto infatti è che non era affatto sicuro che il trasferimento sarebbe potuto verificarsi nei tempi utili a conservare le probabilità di sopravvivenza – dopo l’intervento – pari al 70%, in considerazione anche del fatto che si trattava di un complesso iter che comportava di intervenire distintamente su torace e su aorta.
Anzi, in campo medico, si addivenne alla conclusione che l’intervento da eseguire in urgenza avrebbe avuto un tasso di mortalità corrispondente al 50-60%, ovvero una percentuale di sopravvivenza all’incirca sul 40-50%.
In buona sostanza, la Cassazione ha concluso che anche una tempestiva diagnosi da parte dei dottori non avrebbe potuto eliminare il ragionevole dubbio che la morte del paziente poteva essere impedita. Il decesso, d’altronde, era una possibilità più che concreta e, ciò nonostante, emerse la responsabilità medica non in relazione alla gravità della patologia accertata ma piuttosto alle circostanze del caso concreto, che implicavano il trasferimento del paziente in altro ospedale più attrezzato.
Concludendo, il giudizio sulla responsabilità medica deve essere compiuto considerando quale avrebbe dovuto essere la specifica attività richiesta al medico ed alla struttura ospedaliera e cosa non è stato svolto, ad esempio, una diagnosi non tempestiva, una terapia non somministrata oppure un intervento non effettuato o effettuato in ritardo. Nel caso concreto, valutato dalla Cassazione nella sentenza citata all’inizio, è emersa una carenza di mezzi e strumenti tali da garantire l’immediatezza dell’intervento chirurgico e ciò – in combinazione con le ridotte percentuali di sopravvivenza – ha certamente influito sull’individuazione della responsabilità medica.
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