Un articolo su La Stampa scatena il panico: un rider, nome a la page per definire gli schiavi occidentali, guadagna tra i 2000 e i 4000 euro al mese. Si chiama Emiliano Zappalà, ha 35 anni ed era un commercialista, finché il Covid l’ha costretto a chiudere. “Invece di chiedere il Reddito di cittadinanza si è messo a lavorare”, dice la giornalista; ora Emiliano macina chilometri in bicicletta e guadagna come un manager.
Tra la folla esplode un misto di incredulità e fastidio, quest’ultimo forse causato dal fatto che l’articolo è un grande esempio di scrittura da intellettuale. Contiene l’equivalente retorico del cinema indipendente, ovvero 1) struttura paratattica modello Brunello Robertetti 2) tono enfatico 3) domande retoriche 4) aforismi da Baci perugina 5) opinioni personali non richieste.
L’articolo viene condiviso e letto migliaia di volte, spuntano strane domande e qualcuno va addirittura a verificare, scoprendo una tale mole di errori che La Stampa è costretta ad aggiungere un asterisco.
Precisa che il rider si chiama Emanuele e non Emiliano, fa il rider dal 2018 e non dalla pandemia, gira in moto e non in bicicletta, è un diplomato in ragioneria e non ha mai fatto il commercialista, guadagna più degli altri rider perché “iscritto a UGL Rider, con la quale ha partecipato ai tavoli negoziali per la trattativa con AssoDelivery, che ha portato alla firma del CCNL Rider”. Ultimo ma non per importanza, in realtà il giornale non esiste, è il sogno allucinato di un individuo febbricitante aggrappato alla grisella della Vittorio Veneto mentre fugge da Saigon, ed è l’estate del 1979.
Per il resto, comunque, l’articolo è corretto.
Un’altra grande vittoria che non si può paragonare allo scandalo internazionale scoperchiato dal Corriere di Torino, ma è comunque l’ennesima gioia per gli occhi dei lettori. Basta fake news, torniamo insieme a un’informazione di qualità.