“Perché risolvere le disuguaglianze, se possiamo renderle trendy?”
I poveri adesso bussano alla porta di casa per consegnare i pasti. Sensi di colpa perché manco gli lasciamo un euro? Basta far finta che siano felici.
Qualcosa di magico sta accadendo nei giornali, ultimamente. Serve un colpo d’occhio per accorgersene, ma ne va ammirata la determinazione. Non c’è un disegno complessivo dietro questo meccanismo, si tratta del banalissimo scimmia vede scimmia fa.
Un prode opinionista dice una bagigiata, un altro ne trae ispirazione e in men che non si dica viene formata una linea di pensiero, che si può definire “sensazione”. È lo stesso procedimento che avviene quando entriamo in una casa o in un locale. Se qualcuno ci chiede che atmosfera c’è, noi sappiamo definirla senza problemi.
Cosa ce la suscita, però, è molto complicato.
Ora, è stata sicuramente una buona idea riempire di botte i ragazzini che manifestavano al G8 invece di ascoltarli. Il globalismo ci ha dato enormi soddisfazioni e gioie che possiamo vedere ovunque, dall’architettura ai beni di consumo. Disoccupazione e povertà non solo esistono ancora, ma stanno peggiorando. I giovani che escono dal liceo – ma anche quelli che escono dall’università – vengono paracadutati nel deserto del Gobi.
Tra i giovani, quasi nessuno crede che avrà mai una pensione. Nessuno osa sperare in qualche tipo di stabilità economica o lavorativa. Il potere d’acquisto è crollato, gli stipendi sono inadeguati ai costi; chi è privilegiato o benestante spesso lo è per eredità economiche o sociali.
Ma questo, finché i poveri erano invisibili, non era un problema. Bastava dire poverini, difenderli online, scriverci storie tristissime e lodarli. Si dormiva benissimo. Oggi purtroppo non è più così: i poveri ti bussano alla porta per consegnarti la cena o la spazzatura che compri online.
Serve un’altra narrativa, così adesso la povertà non è più triste: è allegra, dinamica, friendly, 2.0. I giornali si sono riempiti di racconti di fantascienza spacciati per articoli talmente dissociati dalla realtà da sembrare parodie.
Niente più casa, si vive in co-living: dieci sconosciuti stipati in un sottoscala con a disposizione un bagno, un letto e un salottino? No, “lo scelgono giovani professionisti, nomadi digitali e cresce la quota degli over 45”. Immagino la gioia di un 45enne senza moglie, senza figli e senza un lavoro in grado di permettergli una casa. I ristoranti che prima stipavano i tavoli uno di fianco all’altro passano direttamente alla megatavolata stile mensa aziendale 1960: la tavola social, per il piacere della condivisione.
Ma il massimo è la narrativa sulla “new economy”, e nello specifico, sui fattorini.
A quanto pare, portare pizze di notte sotto la pioggia è il sogno dell’alta borghesia e dei giovani. Guai a chiamarli fattorini o nuovi poveri; basta definirli “giovani, stranieri e sottopagati”. In realtà sono rider, parola magica dietro cui si nascondono commercialisti, gioiellieri, agenti immobiliari, ma anche giovani ambiziosi che puntano al palco dell’Ariston e guadagnano come manager. In realtà spesso non si va oltre gli 800 euro, ma pazienza.
L’importante è raccontarci che sono felici.
Stanno facendo il lavoro che volevano fare.
Alcune malelingue potrebbero dire che quest’improvvisa gioia tra la popolazione sia legata alle simpatie politiche dei direttori dei quotidiani, ma si sa, la gente è cattiva.