Suso, da Jolly a uomo del mistero
Il suo nome per esteso è Jesús Joaquín Fernández Sáez de la Torre, ma conviene chiamarlo Suso. Atterrato a Milano a gennaio, sponda rossonera, il jolly del reparto avanzato sembrava destinato a prendere in mano e per mano il Milan di Inzaghi che lamenta la mancanza di bollicine sulla trequarti. Ebbene Suso, da allora, non ha toccato il manto erboso della Serie A nemmeno per un minuto. Le uniche sue apparizioni sono state contro la Lazio in Coppa Italia gli ultimi 10 minuti e in amichevole contro la Reggiana dove è anche andato a segno. Chiaramente il giocatore ha molta voglia e attende con ansia il suo impiego, ma cos’è che frena Inzaghi?
La storia di Suso
Correva l’anno 2009 e Eduardo Macià, oggi fra i coordinatori giovanili della Fiorentina, era il capo osservatore al Liverpool e convinse la dirigenza e Benitez a fare cose inaudite pur di acquistare un 15 spagnolo che giocava nel Cadice e che tifava Real Madrid. Sia il tecnico spagnolo, oggi al Napoli, che i suoi successori sulla panchina dei Reds diedero spazio necessario alla crescita di Suso che, seppur in maniera discontinua, continuava a regalare grandi prestazioni. La scorsa stagione il salto di qualità: Suso viene girato in prestito all’Almeria e nel contratto vi è una clausola che obbliga il club spagnolo a pagare una penale nel caso in cui il giovane fosse sceso in campo meno di 26 volte. Suso mette a segno una stagione decisamente positiva ed è uno degli artefici della salvezza dell’Almeria.
Francisco: “Non capisco perché Inzaghi non lo faccia giocare”
Il suo allenatore ai tempi dell’Almeria, Francisco, è scandalizzato dal fatto che Suso non abbia ancora giocato un minuto in Serie A: “Sinceramente mi stupisce che Suso non giochi mai. Ovviamente parlo da osservatore esterno. Capisco che sia difficile scommettere forte su di lui, arrivato ora e appena 21enne, però per quella che è stata la mia esperienza posso dire che Suso è uno che non ha paura, che non si tira indietro di fronte alle responsabilità, che ha la sfacciataggine necessaria per pensare di potersi prendere la squadra sulle spalle. E poi c’è un’altra cosa: ho parlato col ragazzo appena dopo la firma col Milan e l’avevo sentito pieno di entusiasmo. Mi aveva detto che era convinto di essere arrivato nel posto giusto per far bene, per fare il definitivo salto di qualità. Ne era certo.”