L’allenatore è un mestiere difficile, non adatto a chi vuole condurre una vita tranquilla, senza pressioni e soprattutto lontana dai processi mediatici. Chiedere a Luis Enrique, il tecnico del Barcellona che ieri sera ha demolito il Bayern Monaco dell’ex (non tanto amato,ndr) Pep Guardiola, nell’andata delle semifinali di Champions League. Certo, il 3 a 0 finale è opera del dio del calcio Leo Messi che dopo un’oretta in cui i bavaresi hanno anestetizzato il tridente d’assi spagnolo, ha deciso che era giunto il momento di archiviare la pratica e di iniziare a pensare a che abito indossare nella finalissima di Berlino. La notte del Camp Nou se la ricorderà a lungo anche Luis Enrique, tecnico il cui valore è stato troppo spesso messo in dubbio.
Il ‘nuovo’ Messi
Il dio argentino ha risolto da solo una partita che sembrava essere bloccata sullo 0 a 0. Ancora una volta Messi ha dimostrato di essere il più forte giocatore sulla Terra, forse il migliore di sempre vista la strepitosa media di goal segnati in questa stagione (53 in 51 match tra Liga e coppe, ndr). C’è però anche molto di Luis Enrique in questo Barcellona tornato grande dopo un’annata infelice sotto tutti i punti di vista, e che ora punta dritto alla quinta Champions della sua storia. Accolto con molto scetticismo e con qualche preoccupazione la scorsa estate, l’ex tecnico della Roma ha introdotto significative novità a livello tattico, una su tutte la posizione di Messi: l’argentino infatti, sta giocando da trequartista alle spalle di Neymar e Luis Suarez. Il numero 10 inoltre, sembra definitivamente guarito da quel misterioso male di cui soffriva durante ogni partita. Merito forse, della dieta imposta da un noto medico italiano, il dottor Giuliano Poser di Sacile (Pordenone,ndr).
La rivincita di Luis Enrique
Chissà a cosa avrà pensato il tecnico asturiano subito dopo il triplice fischio dell’ottimo Nicola Rizzoli. Forse il pensiero sarà andato a quella disgraziata stagione alla Roma (2011-2012,ndr), caratterizzata dall’entusiasmo della proprietà americana che azzeccò pochissimi acquisti e da un turbolento rapporto con la tifoseria. A Luis Enrique venne affidata una squadra numerosa e con tanti elementi per reparto, frutto di una campagna acquisti spregiudicata dal punto di vista economico e per nulla attenta alle reali esigenze. Nella Capitale arrivarono tanti giocatori, tra i quali Erik Lamela, Miralem Pjanic, Daniel Osvaldo e Fabio Borini, ma in campionato la squadra non decollò. Il tempo dato dalla società al tecnico spagnolo fu davvero poco, e già dopo le prime deludenti giornate si iniziò a parlare di un possibile esonero. I tifosi giallorossi poi, diedero troppo frettolosamente la colpa proprio a Luis Enrique, considerato incapace di gestire una rosa fortissima e costruita per i primi posti. Al termine di quella stagione, la Roma arrivò al settimo posto e lo spagnolo decise di lasciare la Serie A.