Il calcio femminile italiano è stato colpito duramente dalle sciagurate parole pronunciate dal presidente della Lega Nazionale Dilettanti, il lombardo Felice Belloli, durante una riunione federale. Le calciatrici chiedono non soltanto le dimissioni del dirigente federale, “atto dovuto” secondo le nostre atlete più rappresentative, ma pretendono maggiori diritti dopo decenni di silenzio da parte delle istituzioni calcistiche e di battaglie perse. E per invitare l’opinione pubblica alla riflessione, la finalissima di Coppa Italia prevista per sabato prossimo, non si disputerà.
Dilettanti allo sbaraglio
“Non possiamo sempre parlare di soldi da dare a queste quattro lesbiche”. Con queste parole Belloli, durante una riunione di consiglio del 5 marzo, invitava i presenti a ‘parlare di altro’ e non della solita crisi che sta uccidendo diversi club ‘in rosa’. Il movimento calcistico femminile italiano sta vivendo il suo momento peggiore da quando si è diffuso nel nostro paese. Anzitutto, in pochi sanno che nemmeno le calciatrici che militano in Serie A sono considerate ‘professioniste’: vengono infatti paragonate ad un qualsiasi giocatore dilettante (ovvero chi gioca dalla Serie D alla Terza Categoria, ndr). Eppure la differenza tra una calciatrice che gioca nella massima serie ed un giocatore di Serie D è notevole, vuoi per il maggior numero di allenamenti (le ragazze sudano parecchio,ndr), vuoi per le lunghe trasferte che spesso le tengono lontane da casa per l’intero week end. Senza considerare il loro ingaggio, spesso consistente in qualche centinaio di Euro e mai oltre ai tre zeri mensili. Altro che ‘femminucce’ insomma.
Disinteresse
Non solo le nostre ragazze vengono sempre meno considerate dalle istituzioni calcistiche (anche se questa disattenzione c’è sempre stata, ndr), ma i costi stanno diventando sempre più alti e difficili da gestire. Così accade sempre più spesso che molte calciatrici si ritrovino da un giorno all’altro senza squadra e siano costrette ad appendere già in giovane età gli scarpini al chiodo. Al calcio femminile italiano però, non mancano soltanto i soldi necessari a sopravvivere, perché c’è sempre quella fastidiosa ‘dipendenza’ dalla Lega Nazionale Dilettanti a rallentarne la crescita. Non esiste infatti una lega autonoma che raggruppa tutti i club di calcio femminile e che gestisce autonomamente i contributi della FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio,ndr). E’ quindi la LND di cui Belloli è presidente a fare il bello e il cattivo tempo, a decidere ciò che è giusto o sbagliato fare.
La questione delle dirette tv
Fintanto che al timone dei dilettanti c’era Carlo Tavecchio, l’intero movimento godeva di una certa importanza a livello mediatico. Non prime serate o che, ma almeno sui canali RAI Sport veniva trasmessa settimanalmente una partita della Serie A femminile e vi era anche una trasmissione ad hoc. Con l’arrivo di Belolli qualcosa è cambiato. Per colpa del mancato accordo tra LND e RAI, questa stagione non sono state trasmesse partite in diretta e il calcio femminile ha perso quell’unica possibilità di farsi conoscere. Agli addetti ai lavori inoltre, è sembrato ridicolo il modo con cui è stata rifiutata l’unica offerta di trasmettere le partite presentata da Odeon Tv. Secondo quanto sostenuto da alcuni uomini vicini al presidente Bolelli, “non si può dare l’ok alle dirette di calcio femminile ad emittenti che in tarda serata trasmettono programmi erotici, sarebbe un’offesa alle donne”.
La protesta delle ‘quattro lesbiche’
Dopo che lo scorso week end tutte le partite sono iniziate con circa 15 minuti di ritardo, è giunta la decisione che era già nell’aria da qualche giorno. La finale di Coppa Italia prevista per sabato 23 maggio alle 16 tra Brescia e le udinesi del Tavagnacco non si disputerà per protestare contro la frase sessista del presidente Bolelli, prossimo alle dimissioni secondo indiscrezioni federali. I mesi che verranno potrebbero riservare di tutto, dalla tanto attesa separazione dalla LND a nuovi possibili scontri che peggiorerebbero una situazione già gravissima.