C’era una volta lo Shakhtar: la parabola discendente di un club diventato errante
Ieri nella penultima giornata dei gironi di Champions League l’instabile Real Madrid di Rafa Benitez ha ottenuto i 3 punti – non senza qualche brivido nel finale – sul campo dello Shakhtar Donetsk.
Quella di ieri è stata però una gara che gli Ucraini – come accade ormai da tempo – hanno giocato in casa solo sulla carta. Da oltre un anno infatti la squadra di Lucescu ha dovuto necessariamente reinventarsi: da club simbolo della regione del Donbass a squadra errante tra le città d’Ucraina e d’Europa. A Donetsk infatti la guerra tra le milizie di Kiev e i separatisti filorussi non smette di mietere vittime e a risentirne è stato anche lo sport: la Donbass Arena, gioiellino costruito per gli Europei del 2012, è stata parzialmente distrutta e il centro sportivo della squadra ormai non esiste più.
Era l’estate del 2014 quando tutto il mondo – sportivo e non – si accorse dello Shakhtar. Il club era a Lione per un’amichevole, pochi giorni prima era stato abbattuto l’aereo MH17 della Malaysia Airlines e alcuni giocatori brasiliani, per la paura della guerra e di una situazione che diventava sempre più incandescente, si rifiutarono di tornare in Ucraina.
Il presidente della società Rinat Akhmetov davanti alla prospettiva di perdere i suoi talenti e gli introiti derivanti dai diritti televisivi decise di trasferire la squadra. Lo Shakhtar – simbolo radicato del Donbass – cambiò casa, accolto a Leopoli (Lviv in ucraino), città all’estremo opposto del Paese. Senza i propri tifosi, lontano dalla propria terra e spesso costretto a muoversi in giro per l’Europa per potersi allenare, come è accaduto proprio lo scorso settembre quando la squadra di Lucescu è stata per alcune settimane in Italia per le amichevoli con Carpi e Atalanta. Proprio il tecnico rumeno nell’occasione aveva sottolineato le difficoltà derivanti da questa situazione: “la scelta di venire in Italia a fare amichevoli è anche per questa ragione, avere campi per allenarsi“.
La fuga da Donetsk non ha comunque evitato l’esodo dei giocatori. Nonostante lo strapotere economico del suo presidente, nelle ultime due stagioni, sono state ben 27 le uscite e molti dei giocatori che avevano fatto grande la squadra di Lucescu hanno deciso di ‘scappare‘ verso destinazioni più sicure: da Luiz Adriano e Fernando arrivati in Italia, a Douglas Costa partito direzione Geramnia, passando per Facundo Ferreyra, Ilsinho, Hubschman, lo Shakhtar praticamente non esiste più.
E i risultati del secondo club più titolato della nazione ne hanno notevolmente risentito. Non è un caso che, in campionato, nella scorsa stagione la squadra sia finita seconda dopo un dominio incontrastato di 5 anni e in Europa sia passata dall’essere mina vagante per antonomasia al ruolo più mesto di comparsa. In questa stagione invece lo Shakhtar – a metà campionato – guida la classifica a pari punti con la Dinamo Kiev, una squadra giovane – piena di ragazzi arrivati dalla seconda squadra o addirittura dall’Under 19 – che sta faticosamente provando a ricostruire se stessa e la propria identità.