Tredici colpi di pistola diretti quasi tutti alla testa, così giovedì scorso Arnold Peralta, attaccante dell’Olimpia di Tegucigalpa e capitano della nazionale di calcio dell’Honduras, è stato assassinato da due uomini in motocicletta nel parcheggio di un centro commerciale di La Ceiba, città natale del giocatore.
Ancora oscure le cause. Peralta però non ha subito alcuna rapina: chi gli ha tolto la vita l’ha fatto con quell’unico obiettivo. Il giocatore della Nazionale honduregna rappresenta però solo l’ultimo caso di calciatori professionisti uccisi nelle regioni del centro e del sud America. Nel nostro secolo più di venti sono stati i giocatori assassinati tra Argentina, Messico e Colombia.
Il caso più eclatante è stato sicuramente l’omicidio del colombiano Andres Escobar avvenuto pochi giorni dopo un suo autogol in Colombia – Stati Uniti durante la Coppa del Mondo del 1994. Ritenuto colpevole dell’eliminazione della sua Nazionale, tra i moventi possibili di un omicidio rimasto irrisolto, si fecero strada le grandi perdite subite dal giro di scommesse clandestine a causa di quell’autorete, senza escludere però il possibile coinvolgimento del giocatore in alcune operazioni di narcotraffico locale.
Perché i giocatori di calcio?
Non solo Escobar però, i casi di omicidi riusciti o tentati nell’America centro-meridionale sono moltissimi. Era il 1999 quando Juan Guillermo Villa, nel giorno della vigilia di Natale, fu ucciso da 15 colpi di pistola. Il centrocampista colombiano era ospite al matrimonio di un altro di un altro calciatore, Gerardo Bedoya, e stando agli investigatori si sarebbe trattato di un’esecuzione per vendetta. La Colombia era la nazione di origine anche di altri due calciatori, Felipe Perez e Ómar ‘El Toro’ Cañas, uccisi rispettivamente nel 1996 e nel 1993. Su entrambi i casi l’ombra del narcotraffico. Il 19 ottobre del 2011 invece Edison Chará, con alcuni amici a Puerto Tejada in Colombia, venne colpito da una serie di colpi sparati da un gruppo di persone col volto coperto. Più recente invece uno degli episodi più scioccanti dell’intera storia del calcio: nel luglio 2013, nel corso di una partita dei campionati minori brasiliani, Josenir dos Santos Abreu fu accoltellato dall’arbitro Otavio Jordão da Silva per via delle veementi proteste. L’accaduto portò alla reazione di alcuni tifosi che decapitarono il giovane fischietto.
Più fortunati invece sono stati Salvador Cabanas, colpito con un colpo di proiettile alla testa in un bar di Città del Messico nel gennaio del 2010 e rimasto miracolosamente in vita e Fernando Caceres ex difensore della nazionale argentina che nel 2009 rischiò la vita in un tentativo di rapina. Il paraguaiano a distanza di un anno e mezzo è anche tornato a calcare i campi di calcio nell’amichevole giocatasi tra la sua nazionale e il suo ex club, l’America.
Quelli fin qui descritti rappresentano accadimenti comuni in America centro meridionale, ma perchè i giocatori di calcio sono così spesso oggetto, e vittime, di atti simili? Da un lato i calciatori hanno, in contesti spesso difficili, una posizione privilegiata che li pone al centro dell’opinione pubblica e li rende oggetto del desiderio soprattutto rispetto a quell’innumerevole mole di reati minori che vengono compiuti. Dall’altro però emerge anche un altro elemento: spesso infatti gli atleti, nonostante la scalata sociale, faticano a rompere il cordone con i quartieri difficili d’origine e finiscono invischiati, anche per via della loro ricchezza, nei giri di gruppi criminali più o meno potenti.