Non c’è pace per Pantani. Non c’è pace per la sua famiglia. È una pagina buia del ciclismo e dello sport. Una storia che fa male raccontare ancora oggi. Sono troppe le ombre che ci separano dalla verità. Poco o nulla è stato chiarito: supposizioni, ipotesi, testimonianze più o meno attendibili. Ma qual è la verità? Madonna di Campiglio, nella fase finale di quel maledetto Giro d’Italia del 1999, ha segnato l’inizio della fine del Pirata. La lettera di Marco, resa pubblica dalla madre Tonina, parla di quanto accaduto e urla giustizia.
“A Campiglio la Madonna non c’era quel giorno e ho pagato un prezzo che il mio ben che duro carattere non sopporta. Una macchia indelebile non troppo sincera”, scriveva Pantani.
“Sono stato un pessimo bambino. Un selvaggio e a volte furbo. Ma la bici mi ha portato a conoscere la legge del dare e del raccogliere. Sono diventato discretamente onesto, la mia carriera è stata molto spezzettata dal mio poco feeling con la fortuna”, ammetteva.
“Ma mi sono ritagliato con coraggio e sacrificio non tanto il danaro, ma un po’ di quella giusta gioia ma anche questa subito compressa dal mio personaggio che cresceva e convinceva”, proseguiva il Pirata.
Poi l’inizio della fine: “A Campiglio la Madonna non c’era quel giorno e ho pagato un prezzo che il mio ben che duro carattere non sopporta. Una macchia indelebile non troppo sincera. Sono con la coscienza, per ciò che è Campiglio, pulito. E ciò fa male ancora di più. Sono tornato a casa e tutto di ciò che era possibile è accaduto”.
L’indagine di Forlì, unite alla lettera di Marco, ridanno maggior vigore alla voce di mamma Tonina che, in occasione della presentazione del libro ‘Pantani è tornato’ del giornalista di Premium Sport Davide Dezan, rinnova il suo appello: “Mio figlio Marco l’aveva detto subito: ‘A Campiglio mi hanno fregato’, ma nessuno gli ha mai creduto. Marco aveva scritto: ‘Rivoglio il Giro d’Italia che mi è stato rubato’. Dopo quello che è emerso dall’indagine di Forlì chiedo che venga restituita a mio figlio quella maglia rosa che gli è stata ingiustamente tolta”.
Ricordiamo che a Procura di Forlì e quella di Napoli, dopo le dichiarazioni di Renato Vallanzasca, hanno identificato ed intercettato l’uomo che avrebbe confidato al criminale milanese l’esito del Giro: Pantani, dominatore assoluto fino ad allora, non avrebbe finito la corsa.
L’uomo, vicino alla Camorra, è stato interrogato e successivamente intercettato durante una sua telefonata ad un parente. Questo il testo dell’intercettazione diffuso dalla Procura qualche giorno fa e che Premium Sport ha avuto in esclusiva:
Uomo: “Mi hanno interrogato sulla morte di Pantani.”
Parente: “Noooo!!! Va buò, e che c’entri tu?.”
U: “E che c’azzecca. Allora, Vallanzasca ha fatto delle dichiarazioni.”
P: “Noooo.”
U: “All’epoca dei fatti, nel ’99, loro (i Carabinieri, ndr) sono andati a prendere la lista di tutti i napoletani che erano…”
P: “In galera.”
U: “Insieme a Vallanzasca. E mi hanno trovato pure a me. Io gli davo a mangià. Nel senso che, non è che gli davo da mangiare: io gli preparavo da mangiare tutti i giorni perché è una persona che merita. È da tanti anni in galera, mangiavamo assieme, facevamo società insieme.”
P: “E che c’entrava Vallanzasca con sto Pantani?.”
U: “Vallanzasca poche sere fa ha fatto delle dichiarazioni.”
P: “Una dichiarazione…”
U: “Dicendo che un camorrista di grosso calibro gli avrebbe detto: ‘Guarda che il Giro d’Italia non lo vince Pantani, non arriva alla fine. Perché sbanca tutte ‘e cose perché si sono giocati tutti quanti a isso. E quindi praticamente la Camorra ha fatto perdere il Giro a Pantani. Cambiando le provette e facendolo risultare dopato. Questa cosa ci tiene a saperla anche la mamma.”
P: “Ma è vera questa cosa?.”
U: “Sì, sì, sì… sì, sì.”
Il Pirata amava la salita. Lì dava il meglio di sé, “perché, in fondo, una salita è una cosa anche è normale, assomiglia un po’ alla vita, devi sempre un po’ lottare” cantano, non a caso, gli Stadio pensando a Marco. La salita e la lotta di Pantani continuano. Anche adesso che la sua vita si è esaurita.