Dopo aver ufficializzato il suo passaggio all’Inter, il centrocampista classe ’97 Nicolò Barella ha deciso di salutare il Cagliari con una lettera d’addio. Tanti i ringraziamenti per una piazza – anche sua città natale – che lo ha accolto nell’ormai lontano 2006 quando aveva solo nove anni e dalla quale dunque si è separato dopo tredici anni.
Eccola riportata di seguito.
La lettera di Barella
Cari Tifosi Rossoblù, cara Società, caro Pres, cari Compagni,
sto vivendo una sensazione strana. La mia carriera di calciatore professionista mi sta portando via dalla mia Terra, dalla mia città, dalla mia famiglia e dagli amici più cari. Mi sta portando oltre il mare, lontano da casa. Dalla mia casa: il Cagliari. Potrei dire che lo è sin dal giorno in cui sono entrato nelle giovanili, ma forse lo è sempre stata. Perché sono un ragazzo fortunato: ho avuto la possibilità di difendere sul campo i colori della squadra per la quale faccio il tifo sin da bambino.
Ho realizzato il mio sogno, nato nei campetti di periferia, quando da piccolo mio padre mi portava alle sue partite e a bordo campo, con addosso una maglietta del Cagliari, prendevo a calci palloni più grandi di me. Crescendo, sono andato regolarmente allo stadio, a soffrire per i nostri colori. Ho ammirato dagli spalti la classe di campioni come Andrea Cossu, Marco Sau e Daniele Conti. Ad un certo punto mi sono ritrovato ad allenarmi e a condividere lo spogliatoio con loro: non sto a dirvi l’emozione della prima volta che ho varcato lo spogliatoio della prima squadra ad Asseminello.
Da tutti loro ho cercato di imparare qualcosa, sul piano tecnico e non. Sono stati bravi maestri, mi hanno trasmesso il senso del sacrificio, il valore della sofferenza e della partecipazione. L’appartenenza e l’amore per la maglia le avevo già dentro. Ho cercato di lavorare sodo per aiutare la squadra a raggiungere tutti i suoi obiettivi. In campo ho dato tutto, sempre, dal primo all’ultimo minuto, in ogni partita. Ho perso e dato botte, ho discusso con gli arbitri e litigato con gli avversari.
Ho esultato, urlato e pianto. Giocare per il Cagliari è insieme un piacere, un onore e una responsabilità: qualcosa che rende più dolci le vittorie e raddoppia il peso del cuore quando si perde. Al di là delle soddisfazioni personali, ho messo la squadra al primo posto. Era l’unica cosa che contava. Il Cagliari. E la maglia: ho provato ad onorarla con tutte le mie forze, credo di esserci riuscito”.