Robert Frank è morto: biografia e chi era il fotografo americano

Robert Frank è morto: biografia e chi era il fotografo americano

Lui si chiamava Robert Frank, era un fotografo, esponente visuale della Beat Generation, amico di Jack Kerouac. Era un ebreo svizzero emigrato negli Stati Uniti, che rivoluzionò per sempre con un’ottantina di scatti il mondo della fotografia. Fece un ritratto spietato, europeo, dell’America degli anni Cinquanta, non avendo timore di mostrare sfocature e sbavature, ma cercando in quei momenti colti quasi d’improvviso un attimo di verità. Robert Frank è morto all’età di 94 anni, lo scorso lunedì, in quel Canada dove si era rifugiato da tempo, e con lui il mondo della fotografia perde uno dei più grandi occhi dell’intero settore.

Robert Frank è morto: ecco chi era

Robert Frank nasce nel 1924, in Svizzera, a Zurigo, da una famiglia di origine ebraica. Il suo ingresso nel mondo della fotografia inizia come assistente dei fotografi Hermann Segesser e Michael Wolgensinger, mentre per dare vita alla sua prima opera si traveste da autarchico e se l’autofinanzia: il libro si chiama semplicemente 40 Fotos. Nel 1947, quando ha 23 anni, si trasferisce negli Stati Uniti, a New York. Qui inizia a lavorare per la rivista Harper’s Bazaar. Ma le riviste patinate – e quindi le foto artificiose – non gli vanno a genio. Chiede una borsa di studio alla Fondazione Guggenheim, la ottiene e con quei soldi gira il Paese e lo immortala in alcuni scatti. Immagini che racconta un’America diversa e spesso sottaciuta: la povertà, la malinconia, la verità si fondono in un sapiente bianco e nero, sporco e sfocato, ma mai così pulito nella comunicazione di una realtà.

Le sue foto non piacciono a molti, proprio per questo motivo. Viene rifiutato dalla rivista Life, ma alla fine riesce nel suo intento di pubblicarle. 83 fotografie, fermi immagine in un’unica raccolta dal titolo emblematico: The Americans, Gli Americani, con una prefazione dell’amico Jack Kerouac. Sono gli anni della Beat Generation e Frank è “beat” fino al midollo. Ha viaggiato in lungo e in largo per gli States con una macchina sempre sul punto di abbandonarlo e ha fotografato con una Leica non certo nuova di zecca.

The Americans è il punto di svolta, ma dopo lui preferisce darsi a un’altra arte, il cinema. Il suo primo film è un manifesto beat, “Pull me Daisy”, l’inizio del nuovo cinema americano (potete vederlo nel box sottostante).

Quindi ritorna al mondo della fotografia, ma lo fa in modo diverso, raccogliendo collage, polaroid, foto vecchie e, infine, nel 1972 pubblica un’altra raccolta, autobiografica stavolta, intitolata The Lines of My Hand.

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La poetica e la vita privata

Un autobus in cui i bianchi sono seduti nelle prime file e i neri appaiati dietro. Una donna nera che tiene in braccio un bambino bianco. Una bandiera americana che sventola e dietro le due finestre retrostanti dei volti curiosi camuffati. Donne ben vestite che fanno colazione in una tavola calda. Un lustrascarpe che lavora in un bagno. “Ha estratto un poema triste dal cuore dell’America e l’ha fermato sulla pellicola”, ha detto di lui Kerouac, che lo ha definito “uno dei poeti tragici del nostro tempo”. “Con La Democrazia in America di Alexis de Tocqueville e La scena americana di Henry James, The Americans è una delle più importanti dimostrazioni di cosa sia fatta questa nazione”, scrisse il critico Gene Thornton. E sulle sue stesse foto, Robert Frank lasciava campo libero agli interpreti. “Le mie foto non hanno un inizio o una fine. Sono nel mezzo”.

La sua vita privata vede due matrimoni, due nascite e due lutti. Purtroppo nascite e lutti coincidono. Dal matrimonio con Mary nascono i figli Andrea e Pablo. Da lei divorzia nel 1969, poi 5 anni più tardi la figlia Andrea muore in un incidente a stradale, quando ha soli 20 anni. Si sposa con June Leaf, che lavora nel campo della pittura e della scultura, ma nel 1994 ecco un altro evento tragico: il figlio Pablo scopre di avere un cancro, non sopporta il dolore e la paura del futuro, si uccide. Robert Frank vive il dolore nella consueta riservatezza che lo contraddistingue. Oggi, in un mondo popolato di narcisisti e selfisti su Instagram, probabilmente non avrebbe mai trovato il suo posto.