Il Premio Nobel per la Pace 2019 è stato assegnato ad Abiy Ahmed Ali, primo ministro etiope. Nulla da fare per uno dei nomi che circolavano negli ultimi giorni, ovvero quello di Greta Thunberg per i suoi alert rivolti ai governi contro il cambiamento climatico. Abiy Ahmed Ali è comunque uno dei personaggi simbolo dell’Africa attuale e il premio gli è stato assegnato per il suo impegno nel piano di cooperazione internazionale e per la risoluzione dei conflitti con l’Eritrea.
Premio Nobel Pace 2019 ad Abiy Ahmed Ali: le motivazioni
L’annuncio ufficiale è arrivato direttamente da Oslo. Il Premio Nobel per la Pace 2019 è assegnato ad Abiy Ahmed Ali “per i suoi sforzi nel raggiungere la pace e la cooperazione internazionale, e in particolare per il suo impegno e le sue iniziative decisive per risolvere i conflitti lungo il confine con l’Eritrea”. Inoltre, “il premio Nobel per la Pace vuole anche riconoscere tutti gli altri che stano lavorando per la pace e la riconciliazione in Etiopia e nelle regioni dell’Est e del Nord Est dell’Africa”. Resta comunque molto lavoro da fare in Etiopia, anche se “il premier ha avviato importanti riforme che danno speranza a molti cittadini per una vita migliore e un futuro radioso”. Merito di Ahmed è stato quello di “promuovere riconciliazione, solidarietà e giustizia sociale”.
Un premio meritato per uno degli uomini simbolo dell’Africa, ma soprattutto per l’impegno profuso nel favorire la pace nei territori, pace che è anche il tema chiave di questo specifico premio. Iniziato nel 1998, il conflitto tra Etiopia ed Eritrea ha subito una battuta d’arresto nel 2000, senza però arrivare a una conclusione ufficiale o definitiva. Questo stato di sospensione ha contribuito ad alimentare forti tensioni lungo gli ultimi due decenni, almeno fino al 2018, quando in Etiopia si insedia un nuovo governo.
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Chi è Abiy Ahmed Ali
È quello di Abiy Ahmed Ali, che accetta la sentenza dell’arbitrato internazionale risalente al lontano 2002 relativa all’assegnazione all’Eritrea del territorio conteso di Badme. Questo è stato il primo step che ha poi condotto all’accordo di pace siglato nell’estate del 2018. Un momento chiave simbolico che ha contribuito a stemperare le tensioni tra i due paesi, anche grazie all’abbraccio dei due premier, all’apertura delle rotte aeree tra le due zone e al riavvio dei rapporti diplomatici. Non c’è stato però un lieto fine definitivo, in quanto in seguito l’Eritrea ha deciso nuovamente per una chiusura dei confini.
43 anni, Ahmed si è già contraddistinto in Africa per essere il primo premier oromo, ovvero appartenente a un’etnia che in Etiopa ha denunciato spesso discriminazioni etniche, politiche e culturali. Ahmed nasce ad Agaro, la sua famiglia è in parte cristiana, in parte musulmana. La sua attività nel territorio comincia nell’esercito, dove scala i gradi fino a diventare tenente colonnello. La sua strada prosegue in modo differente, ovvero in un’azienda di cyber sicurezza governativa. Nella sfera politica ci entra diventando in seguito ministro della Scienza e della Tecnologia, in qualità di esponente del Fronte Democratico Rivoluzionario del Potere. Il 2 aprile 2018 diventa primo ministro e inizia la sua attività pacifica, dapprima chiudendo il carcere di Maekelawi e liberando diversi prigionieri politici e in seguito avviando una stagione di riforme economiche e sociali. In breve tempo il suo volto diventa un’icona, un simbolo in Etiopia. Ma i simboli, si sa, vanno e vengono e non a tutti piacciono le sue politiche di democratizzazione: evitato qualche tentativo di golpe militare, Ahmed continua per la sua strada sentendosi nel giusto. Il processo in corso è ancora lungo e complicato, ma almeno nel Paese si è riaccesa la fiaccola della speranza.