Alla fine degli anni ’70 l’Italia è un paese sconvolto dalla violenza dei movimenti estremisti extraparlamentari di destra e sinistra: è il periodo degli Anni di Piombo. Nelle grandi città si respira un clima di tensione e, quotidianamente, si assiste a scontri di piazza, sequestri di persona, omicidi e attentati contro le istituzioni e i civili.
Nel 1978 le Brigate Rosse hanno sequestrato e ucciso Aldo Moro, leader della Democrazia Cristiana e padre del Compromesso storico insieme ad Enrico Berlinguer che, nel Gennaio 1979, con un duro discorso tenuto in Parlamento ha ufficializzato l’uscita del Partito Comunista Italiano dalla maggioranza di Governo ponendo fine a tale intesa.
In un contesto socio-politico del genere, gli italiani trovano sfogo e svago nel cinema – vanno fortissimo, forse perché vicini alla realtà, i film di Thomas Milian e Maurizio Merli – e nel calcio – gli stadi sono frequentati principalmente da famiglie e da tifosi che non vedono l’ora di sostenere i propri beniamini dopo una settimana di duro lavoro.
Domenica 28 Ottobre 1979 piove, è una delle tante giornate uggiose di pieno autunno. Alle 14:30 va in scena la settima giornata del Campionato di Serie A 1979-80 e il programma prevede, oltre al Derby della Madonnina tra Inter e Milan, la stracittadina capitolina tra Roma e Lazio – all’epoca mediaticamente meno rilevante.
Purtroppo, quel giorno la cronaca nera entra di prepotenza anche nel mondo del calcio, togliendo a questo la purezza, la spontaneità e l’innocenza che fino a quel momento l’avevano contraddistinto. Quel giorno, all’interno dello stadio Olimpico, un razzo a paracadute di tipo nautico, sparato dalla Curva dei tifosi della Roma – la Sud – verso quella dei tifosi laziali – la Nord – colpisce in pieno volto un uomo di 33 anni, Vincenzo Paparelli che, in quel preciso momento, in attesa del match, stava mangiando un panino con la frittata in compagnia della moglie Vanda, perforandogli l’occhio. Morirà poco dopo, all’interno dell’ambulanza che, vanamente, lo sta portando all’Ospedale Santo Spirito.
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Chi è Vincenzo Paparelli
Sposato e padre di due figli, Vincenzo Paparelli è una persona tranquilla. Abita nella borgata di Mazzalupo e di mestiere fa il meccanico nell’officina che gestisce insieme al fratello Angelo e nella quale porta, quando può, anche il figlio Gabriele che lo aiuta felice e che da grande vuole seguire le orme del padre.
Quella maledetta Domenica Vincenzo, viste le condizioni meteo, è propenso ad andare a trovare i genitori, poi, però, il richiamo della sua Lazio impegnata nel derby gli fa cambiare idea. Il fratello gli presta la tessera per entrare allo stadio, gesto generoso che lascia in seguito un rimorso troppo grande per essere compreso da chi non ha perso un proprio caro in maniera così tragica e crudele.
Lui lascia a casa i figli perché, ironia della sorte, crede che lo stadio sia un luogo violento per dei bambini.
La moglie lo accompagna, felice di essere coinvolta nella più grande passione del marito.
Quello che succede nelle ore successive risulta difficile da raccontare ancora a distanza di quarant’anni: il tragitto del razzo che attraversa tutto lo stadio, il corpo esanime di Vincenzo, lo shock di Vanda che si ustiona la mano nel tentativo di rimuovere il tubo di ferro dall’occhio sinistro del marito ormai privo dell’orbita, il panico dei tifosi laziali sono immagini forti, che colpiscono come pugni sullo stomaco.
Il medico che per primo soccorre Vincenzo Paparelli, Alberto Travostini, riferirà che neanche in guerra aveva visto delle lesioni così gravi.
L’assassino del meccanico 33enne si chiama Giovanni Fiorillo, pittore edile disoccupato di 18 anni. Immediatamente dopo il fatto il ragazzo si dilegua e fa perdere le sue tracce. Per mesi, in fuga in giro per l’Italia, chiama Angelo Paparelli ogni giorno, chiedendo perdono per ciò che ha fatto quella Domenica. Nel Gennaio del 1981, Fiorillo si costituisce e nel 1987 la Corte di Cassazione lo condanna a 6 anni e 10 mesi di reclusione: l’accusa è quella di omicidio preterintenzionale. Tifoso della Roma e proveniente da una modesta famiglia, Fiorillo morirà il 24 Marzo 1993, per cause ancora oggi ignote – si pensa a un overdose o a un brutto male. Per uno strano scherzo del destino, l’età al momento della morte è la stessa di Paparelli: 33 anni.
Il Clima surreale di quel Roma-Lazio
La tensione all’interno dell’Olimpico è alle stelle. I sostenitori biancocelesti vogliono il rinvio della partita che viene comunque giocata per evitare ulteriori scontri tra le tifoserie.
Ogni volta che la palla esce fuori dal campo, gli ultras laziali se ne appropriano e non la restituiscono.
Alla fine, in quel silenzio assordante – così lo ha definito ai microfoni di Sky Sport l’arbitro di quel giorno, Pietro D’Elia – intervallato dalle proteste laziali, la partita volge alla naturale conclusione: 1-1 il risultato finale, determinato dalle reti di Zucchini per la Lazio e di Pruzzo per la Roma. I giocatori hanno evitato qualsiasi tipo di proteste nei confronti dell’arbitro e scontri con gli avversari: anche loro sono coinvolti emotivamente dalla morte di Vincenzo Paparelli e il match con il relativo risultato passa in secondo piano.
Neanche gli interventi del capitano biancoceleste Giuseppe “Pino” Wilson e di Bruno Giordano riescono a placare le ire di quella gente che ancora non si è fatta una ragione di un’altra tragica e beffarda morte, quella di Luciano Re Cecconi.
Le parole di Gabriele Paparelli
Gabriele Paparelli aveva poco più di 7 anni il 28 Ottobre 1979. Il dolore per la prematura scomparsa del padre non è mai passato e, ogni volta che la figlia gli chiede il motivo per il quale la foto del nonno campeggia nella curva dei tifosi della Lazio lui risponde che Vincenzo era un grande tifoso biancoceleste a cui tutti hanno voluto bene.
Oggi Gabriele ha 47 anni, è un uomo, ma nei suoi occhi si intravedono ancora la tristezza, il rimorso e la rabbia di un bambino a cui è stata tolta senza pietà la possibilità di crescere con un padre a fianco.
Tramite le sue parole, ai microfoni di Sky Sport, il racconto di quella tragica giornata:
Ero con questi due vicini di casa e a un certo io ho chiesto un po’ d’acqua, un succo di frutta, qualcosa da bere. Ci siamo fermati a un bar e mi hanno ordinato un succo di frutta e nello stesso tempo c’era il telegiornale, un edizione speciale del TG1, al che, neanche iniziato il TG1, sono stato letteralmente scaraventato fuori dal bar, senza bere nulla e mi sono ritrovato in macchina che dicevo “ma io avevo sete”, al che ho poggiato la testa sul finestrino e dentro di me ho avuto come un presentimento e mi sono detto: ma non è che è morto mio padre?. Ma nello stesso tempo ho detto: va bè è possibile? È morto mio padre? Con tante persone al mondo proprio papà doveva morire. […]. Mentre salivo le scale, un cuginetto mi ha detto: “ma lo sai che zio Vincenzo è morto?”. Mia zia mi ha detto: “ma no, ma non è vero! È caduto dalle scale e si è rotto le gambe”. Io ancora dovevo arrivare a casa mia. […]. Poi quando sono entrato dentro la porta di casa mia lì ho visto mia madre che era uno zombie, uno zombie vivente e quando mi ha visto ha lanciato un urlo e mi ha preso e poi dopo ho urlato anche io.
Purtroppo, l’immane sofferenza dei familiari viene ulteriormente accentuata dalle crudeli scritte che campeggiano nei muri di Roma: alcune persone senza scrupoli infangano la memoria di Vincenzo Paparelli con offese ingiustificate che arrecano ancora più dolore alla signora Vanda.
Ogni mattina io mi alzavo e facevo il tragitto che faceva mia madre per andare al lavoro per controllare che non ci fossero scritte, perché altrimenti, se lei vedeva scritte del genere faceva retromarcia, tornava a casa, chiudeva le tapparelle e non usciva per tutto il giorno. Era un trauma fortissimo. Io ho girato per vent’anni con il mio motorino e con la mia fedele bomboletta spray cercando di eliminare il più possibile le scritte che erano in giro per Roma.
Ai funerali di Vincenzo Paparelli partecipano tutti i giocatori della Lazio e la società. La Roma, impegnata in una trasferta di Coppa Italia, manda in rappresentanza la Primavera. Pino Wilson e Lionello Manfredonia telefonano alla vedova per le condoglianze. Il presidente giallorosso Dino Viola, le scrive una lettera in cui manifesta tutta la sua vicinanza e solidarietà.
Alla memoria di Paparelli è stato intitolato un giardino alla periferia di Roma, oggi, purtroppo, malcurato e quasi abbandonato.
I tifosi laziali lo ricordano ogni anno, in occasione dell’anniversario della sua morte. Subito dopo quella Domenica, i giocatori di Roma e Lazio hanno organizzato un incontro amichevole con squadre miste per sensibilizzare l’opinione pubblica la quale però, molto spesso, ha fatto orecchie da mercante: Vincenzo Paparelli infatti è stato il secondo tifoso ucciso all’interno di uno stadio di calcio. Secondo, dopo un tifoso della Salernitana nel 1963, ma non ultimo.
Quel giorno è stata scritta una delle pagine più nere del nostro calcio e molte altre ne sono state scritte.
Il ricordo di Paparelli, però, rimane impresso nella memoria delle persone per bene, dalla parte sana di questo sport, ancora amareggiata e indignata.
Sposiamo pienamente uno striscione che spesso compare in Curva Nord allo stadio Olimpico, quando la Lazio è impegnata nelle gare casalinghe:
VINCENZO PAPARELLI VIVE!