Nelle elezioni politiche israeliane l’unica cosa davvero certa è che l’ormai ex Ministro degli Esteri del passato governo Olmert, Tzipi Livni, ha preso la maggioranza relativa con 28 seggi nel Parlamento israeliano (Knesset). Nessun partito ha raggiunto i 30 seggi e chiunque sarà chiamato a guidare il paese sarà costretto a stringere non facili alleanze. Questo risultato è dato anche dal fatto che la legge elettorale israeliana non prevede alcun premio di maggioranza per il partito che ha ottenuto il maggior numero di seggi. Nonostante Kadima abbia ottenuto la maggioranza relativa è pertanto possibile che sia una coalizione di destra a guidare il paese.
[ad]Intanto, il Presidente Shimon Peres è chiamato alla nomina del Primo Ministro, che dovrebbe avvenire intorno al 20 febbraio. Attualmente è comunque probabile che Peres affidi alla Livni l’incarico di formare il nuovo governo, stante il risultato ottenuto dal suo partito. La situazione che si verrà a creare a seguito di una sua eventuale nomina non sarà certo di facile gestione, considerando anche il fatto che le alleanze che il nuovo Premier dovrà forzosamente stabilire non potranno non tenere conto di Avigdor Lieberman, leader del partito di estrema destra in ascesa Israel Beitenu, che ha ottenuto 15 seggi, che si è mostrato sin’ora possibilista verso un accordo con il partito ultraortodosso Shas (13 seggi).
Il quadro politico israeliano è complicato dalla figura di Lieberman, soprattutto per le condizioni che potrà porre nei confronti del capo del futuro capo dell’esecutivo. Tra le sue rivendicazioni spiccano in particolare istanze di tipo quanto meno intransigenti sul dialogo con il popolo palestinese con il quale ha detto che non intende portare avanti alcun negoziato. Tra le sue idee è anche da sottolineare l’ipotesi di un ritorno a Gaza per la demolizione definitiva di Hamas.
Nel frattempo in ottica internazionale (ma anche a fronte della crisi economica globale) la situazione di incertezza che si prospettata dal quadro politico del Paese non sembra certo di buon auspicio, anche in virtù del fatto che occorrerà il consenso di più gruppi politici in materia di politica estera. Le parole distensive pronunciate oggi da Barack Obama verso chiunque sarà il nuovo leader di Israele suonano come un monito per il futuro Premier e suoi alleati (Lieberman appunto), che non potrà fare a meno di mantenere l’indispensabile dialogo con l’amministrazione statunitense, che tra i suoi compiti per il futuro si troverà a dover gestire un complicatissimo dialogo Washington – Gerusalemme – Teheran.