Storia di un corpo: Il racconto perturbante di Daniel Pennac
Daniel Pennac lo si ricorda il più delle volte per l’invenzione narrativa di Malaussène, protagonista dell’omonimo ciclo di romanzi.
La storia di Malaussène segue il filo della storia europea dagli anni ’90 alle più recenti trasformazioni del secolo. Il malleabile Benjamin Malaussène, insieme con gli altri personaggi, riesce ad adattarsi perfettamente a queste trasformazioni.
Diverso e ancora più insolito è il caso di un’altra opera di Pennac del 2012, curiosamente titolata Journal d’un corps (Storia di un corpo). In questo racconto, scritto in forma di diario, la trama ci è data attraverso i piccoli e grandi eventi di un corpo: quello di un protagonista anonimo.
Storia di un corpo: autobiografia e identità
Pennac ci svela in che modo la storia di un corpo possa condurre senza forzature a una narrazione della vita quotidiana del suo “affittuario”. Gli stati e i cambiamenti del corpo, che accompagnano una vita nient’affatto straordinaria, funzionano infatti sorprendentemente bene come filtro della narrazione autobiografica. Questo, certo, con le dovute differenze tra un corpo e l’altro. Lo precisa, en passant, il narratore: “Mi piacerebbe leggere il diario tenuto da una donna sul proprio corpo”. Il protagonista si scopre valutando con continuo stupore e interesse la propria esistenza corporea, fin nei suoi aspetti più banali, prendendo forma assieme a quella. Il corpo resta sino all’ultima pagina l’interlocutore principale e la vera chiave di volta della narrazione.
Il titolo: un corpo qualunque, sconosciuto
In un certo momento, un ragazzino dall’aspetto quasi anonimo decide di tenere un diario del corpo, per annotare tutto ciò che gli accade, e per riflettere su ciò che per altri non sarebbe neppure degno di nota; ma il titolo (Storia di un corpo) non dice nulla sul suo proprietario. Potrebbe trattarsi di un corpo qualsiasi, abbandonato e senza proprietà. Proseguendo nella narrazione, il diario si rivela essere un tentativo di rivendicazione del diritto di proprietà sul proprio corpo, a difesa di quest’ultimo.
Il protagonista lo scrive chiaramente: “Tutti i corpi sono abbandonati negli armadi a specchio”. Tutti i corpi, cioè, vengono dimenticati da chi li possiede. Come impedire che anche il suo resti imprigionato nel riflesso di uno specchio? Sin dall’inizio sappiamo che il corpo in questione si mostra poco disposto a collaborare con il suo proprietario, essendo spesso fonte di imbarazzo e di difficoltà. Ecco che il narratore scrive anche: “Se avessi goduto del mio corpo anziché doverlo conquistare!”. Un’esclamazione che forse racchiude tutto il senso di questa insolita cronaca personale.
Scavare fossati – Nutrire coccodrilli. La mostra di Zerocalcare a Palermo.
Storia di un corpo: tra intimità ed estraneità
Con un diario del corpo si apre un altro mondo: “Non è un diario intimo”, scrive il narratore. Ma è certamente una riconquista della propria intimità. In questa riconquista, centrale è la scoperta dei cambiamenti sia silenziosi che rumorosi del corpo. Un diario, dunque, per imparare a stare nel proprio corpo. Un esercizio di (re)incarnazione o una prova di padronanza.
La cronaca del corpo conduce alla fine, in maniera paradossale, a tutt’altre conclusioni, mediante un rovesciamento delle intenzioni iniziali. Storia di un corpo è infatti incentrato su quei momenti in cui il corpo possiede colui che lo abita. Esso si rivela essere in ogni sua parte un ospite estraneo, fastidioso e invadente nella vita del proprietario.
Il corpo estraneo della vulnerabilità umana
Se il corpo non scompare nella narrazione di sé, il protagonista sì. Quest’ultimo deve fare i conti con il suo aspetto mutevole, con la malattia, con grandi e piccoli fastidi. Il nostro corpo sfida continuamente la pretesa di disporre di lui come vogliamo, obbligandoci a piegarci a continui compromessi. Il diario non supera la contraddizione della proprietà di un corpo estraneo – con cui pure facciamo un tutt’uno. Al contrario, Storia di un corpo ci rimanda al senso della nostra vulnerabilità, come padronanza difettosa di se stessi. Il caso più comune è quello che ossessiona il protagonista: guardarsi allo specchio e trovarsi di fronte a una componente di estraneità con cui dover convivere. Questa estraneità è il corpo, ovvero il tempo che lo attraversa.