Emily Dickinson, tra rinuncia e ribellione discreta
Oltre a incarnare lo splendore artistico-culturale del suo secolo, Emily Dickinson (1830-1886) è anche tra i personaggi più ambigui consegnatici dalla modernità. Sciogliere i nodi della sua complessa personalità rappresenta ancora oggi un’ardua impresa per la storiografia letteraria.
Emily Dickinson è certamente una figura criptica nel panorama della poesia ottocentesca. Da diversi anni nei libri di letteratura, come nelle monografie a lei dedicate, si fatica per liberare la poetessa di Amherst da un’immagine infedele della sua persona, ricavata dallo stereotipo del poeta solitario, schivo e malinconico, modello in cui la tradizione per molto tempo l’ha ingabbiata. Lo sforzo principale degli studiosi consiste ora nel fare emergere il più possibile il suo animo sovversivo, talora, forse, esagerando anche un po’ nella rappresentazione. Una cosa, però, è certa: Emily Dickinson non è mai stata la poetessa della rinuncia e della cieca sottomissione.
L’esigenza di presentarla nelle vesti del genio ribelle, manifestata in primis dalla critica letteraria, ha ormai contagiato anche il mondo cinematografico; A Quiet Passion (un film del 2016 diretto da Terence Davis) precede soltanto la più approfondita serie TV Dickinson, di Alena Smith (disponibile da questo novembre su Aplle Tv+).
Forme di ribellione nell’America puritana
Cresciuta nell’ambiente puritano dell’America del Nord, già negli anni della giovinezza Emily Dickinson dimostrava di non aderire esattamente né al suo ambente, né alla sua epoca. Ormai donna, in una lettera al suo futuro precettore Mr. Higginson, scriveva del padre: “Mi compra molti libri – ma mi prega di non leggerli – perché teme che mi sconvolgano la mente”. Smaliziato e fermo nemico dei pregiudizi, il suo animo era già, per così dire, sconvolto. Il suo imperativo: la negazione del percorso lineare, conseguente, cioè, all’educazione e all’abitus comuni. Così, la poetessa si distingueva per la ricerca di un cammino alternativo a quello prestabilito. Questa tendenza la rende essenzialmente un’anticonformista. La sua corrispondenza epistolare lo rivela meglio di ogni congettura.
In una lettera dell’’87 Dickinson scriveva: “Non lo sai che No è la parola più selvaggia che affidiamo al Linguaggio?”. La sua condotta di vita può riassumersi nel buon uso di quella parola, ossia nel buon uso dell’indisciplina. In aperta polemica con la cultura religiosa del posto, la scrittrice decise a un certo punto di non partecipare più alle funzioni religiose. Con la stessa ostinazione, per tutta la vita rifiutò di farsi pubblicare. Il suo spirito critico nei confronti della religione si spingeva ben più oltre la rinuncia alle cerimonie, toccando perfino la questione della condizione femminile. Nella stessa lettera dell’87, domandava retoricamente: “La Bibbia sostiene maliziosamente che L’uomo che vaga, anche se insensato, non potrà più smarrirsi: e la Donna che vaga? Chiedilo alle Tue Scritture palpitanti”. Senza timore di compromettersi, nel ‘78 diceva di se stessa: “Emily è pagana”.
La ritrosia nelle relazioni sociali, la decisione di non lasciare mai più la sua camera, l’isolamento, il nubilato, il disprezzo della fama, l’abito bianco (e non quello nero, puritano) la dipingono nei gesti della denuncia e della provocazione, piuttosto che nel quadro di una vita di privazioni.
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Emily Dickinson: Poesia e arte della disobbedienza
Dalla sua soffitta Emily Dickinson sperimentava come essere discretamente ribelle nell’America di metà ‘800. Non serve viaggiare se scrivere è il viaggio più rischioso. La poesia diventa sotto la sua penna la più alta forma di libertà, ottenuta nell’espressione. La sua discrezione, insieme con i modi gentili, la si comprende difficilmente quale efficace forma di ribellione. Per tutta la sua vita, in moltissime circostanze, la poetessa non si è semplicemente decisa per il “no”, ella lo ha fatto con vera e propria arte. Ecco perché il suo senso del dovere non contrasta affatto col suo atteggiamento anticonformista. Così come l’aria sobria e l’atteggiamento posato non escludono un carattere esuberante, per niente remissivo. Probabilmente, è a causa di questo genere di ambiguità che, quando ci avviciniamo alla sua biografia, fatichiamo a discernere il rifiuto dalla rinuncia ostinata o dalla fissazione.
Come un vulcano silenzioso (espressione che dà il titolo a una raccolta delle sue lettere più note), selvaggia ma con vera disciplina, Emily Dickinson sapeva essere sconveniente senza troppo clamore. Forse assolutamente al di là della logica della ribellione.