Il nodo Guantanamo
Obama e la maggioranza democratica al Congresso si scontrano sulla chiusura del carcere di Guantanamo. Le ragioni di un conflitto politico e giuridico, sullo sfondo dei rapporti con Cuba e della lotta al terrorismo internazionale. ANALISI
Pochi luoghi al mondo hanno causato noie ai presidenti americani come Guantanamo Bay. Nel 1901, Theodore Roosevelt chiese al Congresso un finanziamento straordinario per le forze armate, necessario per sostenere le spese della permanenza nei territori occupati con la guerra contro la Spagna (Portorico, Guam, le Filippine). L’esercito degli Stati Uniti si apprestava a smobilitare da Cuba, appena divenuta indipendente, ma destinata a rimanere sotto tutela americana. Sulle modalità della tutela si concentrava il dibattito politico. Fu un emendamento del Senatore Orville Plat, del partito del presidente, a vincolare i finanziamenti straordinari al mantenimento di una base navale sull’isola, poi insediata nella Baia di Guantanamo. Alcuni sostengono che dietro la mossa dei repubblicani al Congresso ci fosse la mano dei militari, e indirettamente del Segretario alla Guerra, ma le modalità con cui il Senato aveva legato le mani dell’amministrazione – e i destini di Cuba a quelli degli Stati Uniti – erano destinate a riproporsi in futuro.
[ad]Cento e otto anni dopo, un’altra maggioranza e un altro presidente sono infatti costretti a scendere a patti su Guantanamo Bay. Oggetto dello scontro: la chiusura del centro di detenzione e la sorte dei 240 enemy combatants rinchiusi al suo interno. Strumento della trattativa: gli ottanta milioni di dollari necessari per portare a termine la chiusura, già ordinata dal presidente, subito dopo l’insediamento alla Casa Bianca.
La questione è più intricata di quanto sembri. L’amministrazione Bush decise di concentrare i prigionieri della guerra in Afghanistan a Cuba per ragioni legali, oltre che di sicurezza nazionale. Sul territorio americano, sarebbe stato difficile – forse impossibile – qualificarli come “combattenti illegali” ed escluderli dalle garanzie offerte dalal Convenzione di Ginevra e dalla Costituzione. In territorio straniero, sia pure sotto il controllo degli Stati Uniti, il risultato era raggiungibile: “non sempre la Costituzione segue la bandiera”, come recita una famosa massima della Corte Suprema.
Lo status dei prigionieri è stato oggetto di un duro scontro tra il presidente Bush e i giudici federali. In Hamdan vs. Rumsfeld essi negarono che i membri di Al Qaeda e i Talebani avessero diritto allo status di prigionieri di guerra, ai sensi della Convenzione di Ginevra. Statuirono però che ai detenuti di Guantanamo dovessero essere concesse alcune delle garanzie previste della Convenzione, in particolare quelle che prescrivono le modalità di trattamento dei prigionieri.
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[ad]Proprio queste “modalità” sono state oggetto di ridefinizione da parte dell’amministrazione Obama. Appena insediato, il nuovo presidente ha vietato alla CIA di ricorrere alla tortura (secretando tuttavia i nomi degli agenti che vi avevano fatto ricorso, e garantendo così loro l’impunità). Ha inoltre stabilito la chiusura delle strutture di detenzione sull’isola, e previsto il trasferimento dei prigionieri in altri Paesi o negli stessi Stati Uniti.
Ieri, la relativa richiesta di finanziamento è stata sonoramente bocciata dalla maggioranza democratrica al Congresso.
Il Sen. Harry Reed, leader della maggioranza, ha dichiarato senza mezzi termini: “Non permetteremo mai che dei terroristi vengano liberati sul territorio degli Stati Uniti”.
Nessun Paese europeo ha accettato finora di accogliere i prigionieri di Guantanamo (con l’eccezione di Francia e Gran Bretagna, che ne hanno accolto uno a testa). La maggior parte di loro non può essere sottoposta ad un processo ordinario per mancanza di prove, o impossibilità di esibirle in un dibattimento pubblico. Alcuni dei detenuti dovranno quindi essere processati dalle corti speciali istituite da Bush, che Obama ha recentemente deciso di mantenere in funzione, sia pure ampliando le garanzie dei detenuti. Ma – gli altri?
Per quanto si analizzino a fondo le posizioni dei singoli presunti terroristi, il problema di fondo rimane: Guantanamo esiste perchè alcuni prigionieri risultavano troppo pericolosi per essere rilasciati ma – allo stesso tempo – impossibili da processare.
Fallito il disegno di scaricarli su altri Paesi, e registrato il veto del Congresso sulla loro introduzione negli Stati uniti, al presidente non resta che rispolverare le sue conoscenze di direttore dell’ Harvard Law Review, e trovare una cavillosa soluzione giuridica. Per levarsi dall’imbarazzo, dovrà ricorrere necessariamente a un gioco di prestigio. Il cilindro, però, si trova a Cuba. E il coniglio morde.