Assegno mantenimento: stop al figlio che non si impegna a trovare lavoro
Un recente provvedimento della Corte di Cassazione conferma un trend già consolidato, ma che vale la pena ricordare. I giudici della Suprema Corte, nei fatti, invocano da tempo un vero e proprio cambio di passo contro gli eccessi di assistenzialismo genitoriale, allo scopo di spingere i figli maggiorenni da un pezzo, ad effettuare scelte di vita significative, ad impegnarsi all’autoresponsabilità e all’ottenimento dell’indipendenza economica.
Ecco perchè la Cassazione ha negato la conservazione del diritto all’assegno di mantenimento ad un figlio ventisettenne laureato, il quale non ha ridimensionato le sue ambizioni professionali, impegnandosi a trovare un lavoro anche più modesto, ma tale da garantirgli di farcela economicamente da solo. In sintesi, questo il contenuto dell‘ordinanza n. 29779 del 2020. Vediamo più nel dettaglio.
Assegno mantenimento negato al figlio adulto e laureato: ricorso rigettato
A dar luogo alla controversia in tribunale fu una madre: nei fatti, è emerso che i giudici di appello, riformata in parte la sentenza di divorzio, avevano liberato l’ex marito dall’obbligo di pagamento dell’assegno mantenimento per uno dei due figli, ormai in età adulta e già laureato. Secondo la madre, la decisione andava contestata poichè non era stata provata l’indipendenza economica del figlio più grande.
Il ricorso in Cassazione è stato, però, bocciato, giacchè i giudici della Suprema Corte hanno dato ragione a chi ha deciso in appello, ossia in secondo grado. Insomma, nel caso concreto, è corretto riconoscere il contributo dell’assegno mantenimento al solo figlio minorenne. La motivazione è la seguente: nel corso di tutto l’iter giudiziario non sono emersi elementi che comprovino che il figlio avesse “in tutti i modi possibili e ragionevoli, cercato soluzioni lavorative consone ed adeguate alle sue attitudini ed aspirazioni“.
La Cassazione in verità conferma un suo precedente indirizzo, e non propone dunque nulla di nuovo. Infatti, la prole conserva il diritto all’assegno di mantenimento esclusivamente se, dopo aver completato il prescelto percorso formativo scolastico (e universitario), attesti – provarlo è dunque a carico del figlio maggiorenne – un concreto impegno a trovare un’occupazione “in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell’attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni“.
Gli obblighi di sostentamento dei genitori non sussistono all’infinito
Secondo il ragionamento dei giudici di legittimità, l’apporto – anche in termini economici – da parte dei genitori trova fondamento soltanto entro i confini del perseguimento di un progetto di formazione scolastica ed, eventualmente, universitaria. Certamente, sono da considerarsi le capacità, inclinazioni e aspirazioni del figlio, ma nei limiti del “tempo occorrente e mediamente necessario per il suo inserimento nella società“.
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Si tratta, in buona sostanza, di una sorta di bilanciamento tra esigenze ed aspirazioni del figlio e obblighi di sostentamento da parte dei genitori, che non possono protrarsi all’infinito. Come ha scritto la Corte di Cassazione nel 2016, il comportamento del figlio maggiorenne che non si impegna a trovare lavoro sfocia inevitabilmente in un “parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani“. In questi casi, il diritto all’assegno mantenimento viene meno.
Nella vicenda da cui è sfociata la recente e summenzionata ordinanza della Corte di Cassazione, non è appunto emersa alcuna prova di una effettiva dedizione del figlio maggiorenne e laureato a trovare un lavoro che possa consentirgli di essere finalmente indipendente dal lato economico. Ecco perchè il ricorso in Cassazione è stato rigettato.
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