Il Texas è uno dei 15 Stati americani che andrà al voto nell’appuntamento del Super Tuesday, il 3 marzo, quando più del 30% degli elettori americani sceglierà il candidato che si opporrà al Presidente Trump per la corsa alla Casa Bianca.
Con i suoi 228 delegati vincolati da assegnare, il Texas è uno degli stati di maggior interesse in queste primarie e, tra qualche mese, nelle elezioni generali: solitamente infatti questo Stato viene reputato fortemente conservatore, ma negli ultimi anni qualcosa sta cambiando.
Nel 2016 la democratica Hilary Clinton perse contro Trump con un margine percentuale di 43 a 52 (per fare un paragone, Obama nel 2012 perse contro Romney lo Stato della Stella Solitaria con un margine di 41 a 57), e contemporaneamente il candidato senatore democratico Beto O’Rourke tenne tutta la notte il rivale Ted Cruz con il fiato sospeso, perdendo con il risultato di 50,9% a 48,3%.
Cambia la popolazione, cambia il Texas?
Tra le principali cause di questo assottigliamento tra il margine di voti repubblicani e democratici bisogna tenere conto soprattutto del quadro demografico dello Stato. Il Texas è il secondo Stato più esteso degli Stati Uniti subito dopo l’Alaska, ma fino a poco tempo fa non accompagnava la sua estensione con un’altrettanto larga densità di popolazione.
Negli ultimi dieci anni, invece, il tasso di crescita della popolazione texana ha doppiato la media nazionale arrivando a quasi 30.000.000 di abitanti. Se si analizza più a fondo la demografia statale, si nota poi che tre delle dieci città più popolose degli Stati Uniti si trovano qui: Houston, con 2.313 milioni di abitanti seguita da San Antonio con 1.493 milioni di abitanti e Dallas, ferma a 1.341 milioni di abitanti.
Poiché il Texas è territorio di confine con il Messico, la popolazione ispanica (almeno quella legale) è cresciuta a dismisura fino a contendersi il primato con quella bianca (entrambe hanno un tasso del circa 40%) mentre la popolazione afro-americana si attesta sul 12% e quella asiatica, infine, è ferma al 5%.
In sostanza, la parte di popolazione che un tempo rappresentava lo zoccolo duro del partito repubblicano in queste zone si è progressivamente ridotta nel tempo, diventando minoranza rispetto alle altre divisioni etniche (60% di non-bianchi, contro il 40% di bianchi). Questo dato è stato ampiamente adottato dal partito democratico negli ultimi anni: basti pensare alla campagna elettorale che Beto O’Rourke portò avanti nel 2016, attraverso la ricerca del voto delle minoranze, che lo portò anche a farsi chiamare pubblicamente Beto anziché Robert.
Un’ economia sempre più diversificata
La crescita demografica del Texas è ovviamente il risultato della grande impennata economica dello Stato nell’ultimo decennio. Da quando, nel secolo scorso, il Texas ha cominciato a sfruttare le immense riserve petrolifere e di minerali nel proprio sottosuolo, i texani hanno saputo guardare oltre e diversificare i propri investimenti, anche a causa dei frequenti shock del prezzo che caratterizzano il settore petrolifero.
Oggi il prodotto Interno Lordo dello Stato è paragonabile a quello del Canada, Paese con il quale tra l’altro scambia risorse e capitale sociale, oltre al Messico. Dei quasi 300 aeroporti texani, ben più di 20 sono destinati al commercio ed al turismo. Il potere d’acquisto è superiore alla media nazionale e l’età media è di 34 anni.
Le zone di Houston e Austin possono vantare su un grande hub tecnologico che fornisce lavoro ed è in grado di competere con la Silicon Valley nei settori dell’ingegneria.
Bloomberg ha aiutato Sanders nel recupero su Biden
In Texas la scelta del candidato democratico che sfiderà Trump per la presidenza è affidata al sistema delle primarie aperte, nelle quali possono votare tutti gli elettori, indipendentemente dall’iscrizione di partito.
Sanders guida al momento la corsa nella maggior parte dei sondaggi: FiveThirtyEight gli assegna i 24,9% delle preferenze, seguito a ruota dall’ex vicepresidente Joe Biden con il 19,9% dei consensi.
Si preannuncia una corsa a due anche secondo RealClearPolitics, che vede Sanders in testa con il 22,3% dei voti seguito sempre da Biden con il 20,7%.
In entrambi i casi, è stato decisivo l’avvento del miliardario ed ex Sindaco di New York Mike Bloomberg, il quale entrerà nella competizione effettivamente a partire dal Super Tuesday, anche se la sua presenza nella sfida alla nomination si fa sentire già da diverso tempo: i sondaggi sul Texas nel corso degli scorsi mesi davano Joe Biden in netto vantaggio su Sanders, con il 30% dei consensi, ma la campagna di Bloomberg sta riuscendo a far convergere su di sé i voti della base moderata (complice anche un bruttissimo inizio di Biden in Iowa e New Hampshire), risucchiandoli dall’ex vicepresidente e non dal senatore del Vermont.
Dietro ai tre giganti, si nota Elizabeth Warren ferma al 15% dei consensi. Fino a ieri seguita da Pete Buttigieg, candidato ex Sindaco di South Bend che è partito benissimo (Vittoria in Iowa, secondo posto in New Hampshire) ma che poi non è riuscito a trovare lo spazio (o i soldi?) necessario ad una campagna giovane e moderna come la sua.
Non è ancora chiaro quale candidato beneficerà del movimento ormai sciolto del candidato outsider, anche se diverse analisi suggeriscono che i suoi voti potrebbero confluire nella campagna di Biden, e in ogni caso difficilmente arriverebbero a Sanders o a Elizabeth Warren, candidati su posizioni in netta controtendenza rispetto a quelle di Mayor Pete.
Al momento, hanno votato con il sistema dell’early voting solamente 614.351 persone, corrispondenti all’incirca al 4% della popolazione.
Il sistema delle primarie aperte può portare anche a clamorosi colpi di scena: i repubblicani, infatti, potendo votare per la nomination democratica, potrebbero decidere di recarsi ai seggi per favorire i candidati più deboli e contribuire a mandare in crisi ancora di più queste primarie, le più partecipate (passivamente) della storia.