Il contesto
Dal marzo-aprile 2012 organizzazioni islamiste hanno preso sempre più piede ne Mali settentrionale, fino a controllarne intere aree e città e a proclamare la creazione di un vero e proprio stato islamico, sottoposto all’applicazione della shari‘a. Le aree di operazione che, fino all’intervento a guida francese del gennaio 2013, erano sotto il controllo delle forze islamiste, rientrano nel cosiddetto “Azawad”. È qui che è stato inizialmente dichiarato lo stato islamico, ma allo stesso tempo quest’area è anche quella rivendicata come proprio stato indipendente dai ribelli tuareg che si riuniscono sotto la bandiera del MNLA (Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad). Il teatro maliano si rivela ancora più complicato da analizzare rispetto ad altre aree della regione in cui operano gruppi jihadisti e affiliati ad al-Qaeda, in quanto diverse questioni e diversi attori si sovrappongono, creando una situazione di estrema confusione. Una sovrapposizione di interessi di elementi tuareg indipendentisti da un lato e, dall’altro, di islamisti che hanno individuato nello stato centrale del Mali un nemico comune da combattere, sfruttando anche la situazione di crisi politica e istituzionale che si è venuta a creare a livello interno e le evoluzioni del panorama regionale e, specificamente il colpo di stato che ha sollevato dal potere l’ex presidente, Amadou Toumani Touré, il 22 marzo del 2012; la guerra intestina in Libia, che ha causato la fuga di tutti quegli elementi tuareg che sotto il regime di Gheddafi erano inquadrati nell’apparato di ordine pubblico libico; il flusso di armi che, sempre dalla Libia, è transitato verso il Sahel e il Mali, alimentando l’instabilità maliana; la successiva formazione del MNLA, da parte dei tuareg tornati in Mali, con l’obiettivo di ottenere uno stato indipendente del Nord del Mali.
L’apertura ai negoziati
Nelle ultime settimane il governo del Mali, guidato dal presidente Ibrahim Boubcar Keita, ha proposto colloqui ai gruppi legati ad al-Qaeda per cercare di porre fine a un’insurrezione che ha diffuso la violenza nello stato dell’Africa occidentale e nei paesi vicini.Gli attacchi dei gruppi legati ad al-Qaeda e allo Stato islamico del Mali e dei vicini Burkina Faso e Niger hanno ucciso centinaia di civili l’anno scorso e alimentato rappresaglie etniche ancora più letali.Lo spargimento di sangue è peggiorato nonostante la presenza di più di 11.000 forze di pace delle Nazioni Unite in Mali e di circa 5.000 truppe francesi in tutta la regione.
I militanti di Al Qaeda, però hanno detto che parteciperanno ai colloqui di pace con il governo del Mali solo se questo espellerà le forze francesi e le Nazioni Unite nonostante le autorità del Mali hanno ripetutamente affermato di volere che le forze francesi rimangano, e la Francia ha promesso di aumentare la sua presenza militare nella regione del Sahel.
“Non si può parlare di negoziati all’ombra dell’occupazione, prima della partenza di tutte le forze francesi e dei loro seguaci dal Mali”, ha detto in una dichiarazione rilasciata domenica sui social media il Jama’a Nusrat ul-Islam wa al-Muslimin (JNIM) o Group to Support Islam and Muslims legato ad al Qaeda (GSIM). Il GSIM comprende diversi gruppi militanti e ha rivendicato la responsabilità di numerosi attacchi contro i soldati maliani sin dalla sua formazione nel 2017.
Non tarda ad arrivare la risposta internazionale, infatti il funzionario militare americano avverte che gli affiliati di Al Qaeda e ISIS si stanno alleando in Africa occidentale per formare un fronte unito contro i governi locali, mentre la Gran Bretagna continua a sanzionarli.
Al momento dell’annuncio, il signor Keita ha detto di non aver ricevuto risposta dai leader militanti. Non ha inoltre escluso di parlare con il leader dell’ISIS nella regione, Adnane Abou Walid Al Sahraoui. Questa apertura al dialogo lo mette in contrasto con il governo francese, che ha designato l’ISIS come il suo più grande nemico nel Sahel in un vertice in Francia a gennaio.
La dichiarazione del GSIM ha cominciato a circolare nel fine settimana. Né il Mali, né la Francia, né l’ONU hanno ancora risposto.
Le prossime settimane potremo sapere come reagiranno il governo malese e gli Europei coinvolti.