Domenica 29 Marzo quasi 20 milioni di cittadini del Mali si recheranno alle urne per eleggere il nuovo Parlamento nazionale. Nonostante il Paese africano abbia dichiarato il lockdown totale dopo i primi casi di COVID-19, il governo ha deciso di non posticipare le elezioni, che sono già state spostate numerose volte: inizialmente previste per Novembre 2018, sono già state rinviate quattro volte, a causa dell’instabilità politica e militare del Paese.
Il Mali infatti, oltre ad essere uno degli Stati più poveri e sotto-sviluppati al mondo (si trova al 184esimo posto su 189 nell’Indice di Sviluppo Umano), dal 2012 in poi è in una costante situazione di alta instabilità: in quell’anno i Tuareg iniziarono una rivolta nelle regioni settentrionali contro il governo centrale ai tempi guidato da Amadou Toumani Touré, provocando un golpe militare; la situazione di instabilità fu quindi sfruttata da milizie islamiste legate ad Al-Qaeda, che presero il controllo del Nord del Paese. La situazione è peggiorata nuovamente nel 2015, quando un conflitto etnico e civile è scoppiato nella parte centrale del paese. Ad oggi, sia il conflitto con i Tuareg che quello nella regione centrale sono formalmente conclusi, mentre le truppe islamiste hanno perso il controllo dei territori che controllavano; nonostante ciò, scontri a bassa intensità continuano incessantemente.
[infogram id=”untitled-infographic-1h7k23gql1dg4xr?live”]
Alle urne nonostante l’incertezza
La situazione nel Paese è ancora oggi estremamente instabile. Gli attacchi jihadisti nelle regioni settentrionali e centrali sono all’ordine del giorno (tanto che molti seggi neanche potranno aprire domenica), e proprio ieri il leader dell’opposizione Soumaïla Cissé è stato rapito, e ad oggi non si hanno avuto sue notizie. La scoperta dei primi casi di coronavirus inoltre ha rallentato la campagna elettorale, poiché gli assembramenti di più di 50 persone sono stati vietati. Per questo, c’è stata grande speculazione riguardo ad un eventuale nuovo rinvio delle elezioni, smentito però dall’attuale Presidente Keïta, il quale ha sottolineato come l’implementazione degli accordi di Algeri (cioè quelli che hanno formalmente terminato la guerra civile) sia difficile da realizzare con un Parlamento eletto otto anni fa e che è percepito come non più rappresentativo. Nonostante ciò, sembrerebbe che nelle ultime ore sempre più politici e personalità di spicco stiano premendo per un ennesimo rinvio.
L’attuale situazione politica
Dopo il colpo di stato del 2012, i militari non hanno preso il potere del Paese, e le elezioni presidenziali e parlamentari hanno continuato a tenersi più o meno secondo il calendario prestabilito. Nel 2013 e nel 2018 si sono tenute infatti le elezioni presidenziali, che hanno visto la vittoria in entrambi i casi di Ibrahim Boubacar Keïta (del Rassemblement pour le Mali, RPM, di centro-sinistra), il quale era già stato candidato nel 2002 e nel 2007. Le scorse elezioni legislative si sono tenute sempre nel 2013 e hanno visto l’RPM vincere la maggioranza relativa dei seggi (66), riuscendo ad ottenere la maggioranza assoluta poiché i suoi alleati conquistarono 55 seggi. Il principale partito d’opposizione, l’Union pour la République et la Démocratie, URD, di centro-sinistra) si è fermato a soli 17 seggi (nonostante abbia ottenuto il 22.6% dei voti, contro il 29.4% dell’RPM).
[infogram id=”untitled-infographic-1hdw2jrl1wrj6l0?live”]
Nonostante la solida maggioranza, nel corso di questa lunga legislatura si sono susseguiti sei diversi Primi Ministri; attualmente, è in carica l’indipendente Boubou Cissé.
Il sistema elettorale
L’Assemblea Nazionale del Mali è composta da 147 membri, eletti tramite sistema maggioritario a doppio turno; il Paese è diviso in 125 circoscrizioni, che possono essere uninominali o plurinominali (per le quali ogni partito presenta più candidati, e il partito che al secondo turno riceve più voti elegge tutti i candidati che ha presentato). Ad oggi non esistono sondaggi che riguardano i partiti, ma secondo una recente inchiesta del think tank Friedrich Ebert Stiftung, i principali temi che interessato i maliani sono la lotta alla povertà giovanile (54%), la lotta contro l’insicurezza (46%), la risoluzione dei problemi nel nord e nel centro del Paese (45%) e la sicurezza alimentare (38%).
I principali partiti in campo
Il più grande partito è l’RPM, guidato dall’attuale presidente Keïta, di stampo social-democratico nato dalla scissione avvenuta nel secondo principale partito, l’Alleanza per la Democrazia in Mali (Alliance pour la Démocratie au Mali – Parti Pan-Africain pour la Liberté, la Solidarité et la Justice, ADEMA-PASJ), che dal ritorno alla democrazia nel 1991 è sempre stato uno dei principali attori politici del Paese (ha controllato la Presidenza dal 1992 al 2002, ed è risultato il primo partito in tutte le elezioni tenutesi tra il 1992 e il 2013). Sempre di centro-sinistra e sempre nato da una scissione dell’ADEMA, l’URD è come già detto il principale partito dell’opposizione. Nonostante sia all’opposizione e non cerchi alleanze con l’RPM, nelle elezioni di domenica correrà in una dozzina di circoscrizioni in coalizione con il partito presidenziale: questo accordo, a quanto pare, non è espressione di un sostegno dell’URD a Keïta, ma piuttosto una soluzione per garantire che l’opposizione possa controllare con certezza almeno una decina di seggi (dato che il sistema maggioritario a doppio turno, come visto nei risultati delle elezioni del 2013, ha effetti spesso molto distorsivi). Tra i partiti minori, troviamo FARE (Forces Alternatives pour le Renouveau et l’Emergence), formato dai politici più vicini all’ex Presidente Touré; SADI (Solidarité Africaine pour la Démocratie et l’Indépendence), un partito di ispirazione comunista; il Partito per la Rinascita Nazionale (PARENA); e il Partito per lo Sviluppo Economico e la Solidarietà (PDES). Attualmente, la maggioranza presidenziale è costituita da RPM, ADEMA-PASJ, SADI e FARE. Tutti i partiti attualmente in Parlamento si considerano di sinistra o di centro-sinistra.