Sudan, l’autorità islamica si oppone alla normalizzazione dei rapporti con Israele
Con l’emissione di una fatwa, l’autorità governativa islamica del Sudan ha condannato il processo di normalizzazione dei rapporti diplomatici con Israele intrapreso dal governo di Khartoum.
Il responso giuridico, basato sulla legge islamica, è stato pronunciato giovedì scorso dall’Islamic Fiqh Complex, dopo che alcuni media sudanesi hanno annunciato come imminente la firma di uno storico accordo tra il paese africano ed Israele.
La pressione di Washington
Le voci riguardanti il riconoscimento di Israele da parte del governo sudanese circolano da settimane, e si sono intensificate a seguito della visita ufficiale in Sudan da parte del Segretario di Stato americano Mike Pompeo. Nonostante ad agosto il Primo Ministro Abdalla Hamdok abbia dichiarato che il Consiglio Sovrano non è legittimato a discutere un accordo con Tel Aviv, nel mese di settembre il generale Abdel Fattah al Burhan, che presiede il Consiglio militare del Sudan, si è recato ad Abu Dhabi per negoziare con funzionari statunitensi.
Dopo l’incontro negli Emirati Arabi Uniti è emerso che il riconoscimento di Israele da parte del governo di Khartoum dipenderebbe da due condizioni: la prima consiste nella rimozione del Sudan dalla lista di stati che sponsorizzano il terrorismo; la seconda riguarda il ricevimento di consistenti aiuti economici. Secondo alcuni report, il Sudan avrebbe chiesto forniture di grano e petrolio dal valore di circa 1,2 miliardi di dollari, oltre che 2 miliardi in prestito e altri aiuti economici da parte di Washington ed Abu Dhabi nel prossimo triennio. La rimozione del Sudan dalla lista di stati che sponsorizzano gruppi terroristici permetterebbe inoltre a Khartoum di ricevere aiuti finanziari internazionali e investimenti diretti esteri. Secondo il New York Times, la Casa Bianca sarebbe disposta a rimuovere il paese africano da tale lista solamente dietro il pagamento di 335 milioni di dollari, una cifra destinata a risarcire le vittime degli attacchi terroristici del 1998 contro le ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania e del 2000 contro il cacciatorpediniere USS Cole.
Una questione dibattuta
Il riconoscimento di Israele è un argomento estremamente spinoso in Sudan, e la presa di posizione dell’autorità islamica è solamente l’ultima di una lunga serie di reazioni contrastanti a tale questione nel paese africano.
A gennaio, a seguito di un colloquio in Uganda tra il generale al Burhan e Benjamin Netanyahu, la maggior parte della popolazione manifestò la propria contrarietà. A protestare non furono solamente gruppi islamisti, ma anche la parte più secolare della cittadinanza, protagonista della rivoluzione che nell’aprile del 2019 portò alla caduta del regime di Omar al Bashir. Recentemente tre gruppi politici, tra cui l’Umma Party guidato da Mubarak al-Faled, hanno espresso il proprio supporto al processo di normalizzazione dei rapporti diplomatici con Israele. Anche i militari, che controllano il Consiglio Sovrano, sono prevalentemente favorevoli.
È dunque facile comprendere come una decisione affrettata e non condivisa, magari percepita dalla popolazione come imposta da Washington, possa far precipitare nuovamente il paese nel caos.