C’è un fattore che non deve essere sottovalutato alla lunga in queste elezioni: l’influenza delle religioni per la scelta che compirà l’elettorato alle urne, il prossimo novembre. E questo per un motivo piuttosto semplice, in ultima analisi; la popolazione statunitense è, considerando le nazioni più progredite, quella più religiosa. Cosa significa? Che più della metà degli americani pratica quotidianamente, indipendentemente dal credo cui appartiene, sancendo così l’indissolubilità tra la religione e la vita civile, anzi fondendole e rinsaldandole giorno per giorno. Nonostante la diversità religiosa che intercorre per i cinquanta stati dell’Unione, però, i credenti trovano un punto in comune che si esplica nel momento del giuramento del neoeletto Presidente: la mano appoggiata sulla Bibbia. Libro che in quel momento trascende ogni culto, per diventare il simbolo di quell’unico Dio cui tutti credono: cessa di essere un testo cristiano o ebraico per divenire l’emblema dei cittadini americani. Insomma, “in God we trust“. Letteralmente.
Ora, la domanda: come possono influenzare le fedi la scelta del prossimo inquilino della Casa Bianca? Per rispondere è necessario operare un distinguo all’interno dei diversi culti, che qui per ragioni di spazio non è possibile; ma, a grandi linee, basti sapere che oltre alla differenza in seno al cristianesimo tra il cattolicesimo e il protestantesimo (che va per la maggiore al di la dell’Atlantico), v’è all’interno della religione protestante stessa un intero universo religioso indeterminato e indefinibile, per cui non è possibile evidenziare con accortezza tutto l’insieme. Semplifichiamo il discorso con un esempio molto concreto: la maggior parte degli evangelici stanno sostenendo attivamente l’attuale amministrazione; l’orientamento politico prevalente è difatti conservatore, anche se non mancano defezioni ed endorsement verso i democratici: per lo più lo sono i battisti. Basta un dato, anzi un nome: il fondatore dell’organizzazione non governativa Samaritan’s Purse, Billy Graham, e suo figlio Franklin – attuale presidente dell’ONG – hanno pubblicamente appoggiato Donald Trump durante la campagna elettorale e nel corso della sua presidenza.
Non solo i protestanti giocano un ruolo decisivo: la decisione di nominare Amy Coney Barrett come nuovo giudice della Corte Suprema, avvocato conservatore, è decisiva per attirare i voti dei cattolici, che sono secondi solo ai luterani, evangelici e battisti alla Camera e al Senato. Ma è in declino anche l’appoggio degli ebrei ai Democratici. Il motivo è presto detto: il sopravvento dell’ala antisemitica all’interno del partito. Non solo: Donald Trump ha appoggiato il matrimonio tra la figlia Ivanka e Jared Kushner, di origini ebraiche; la sua politica estera nei confronti di Israele, prima di tutto il trasferimento dell’ambasciata USA a Gerusalemme, dimostra ampiamente come voglia suggellare un’alleanza ancora più stretta con il mondo ebraico e sionista; e infine, per non perdere il voto degli ebrei ortodossi, focalizzare le azioni della Casa Bianca contro l’antisemitismo che dal 2013 sta sempre più crescendo negli USA, attraverso un ordine esecutivo datato lo scorso 11 dicembre 2019.
Viceversa, sul fronte democratico i musulmani e i protestanti afroamericani hanno la maggioranza. Senza dimenticarsi di una sparuta minoranza di cattolici di orientamento progressista. E degli atei e di quelle religioni e sette minori che fondano la propria filosofia orientata alle sorti progressive. Gli ispanici invece sono un caso interessante: se i cattolici appoggiano il programma democratico, i protestanti propendono invece per i Repubblicani. È una fascia della popolazione divisa in due. La religione può non sembrare un fattore determinante nel corso delle elezioni politiche, semmai al centro del dibattito sono frequenti le tematiche dell’economia e della politica estera; in realtà, i principali problemi politici che sta affrontando Washington possono essere ridotti a temi religiosi: l’aborto, i diritti civili, l’avvicinamento o meno ad Israele o alla Palestina, la regolarizzazione dell’immigrazione sono alla fine delle spinte presenti più o meno con dirompenza nel dibattito filosofico, teologico e soprattutto politico.
Trump e Biden, certo, non mancheranno fino all’ultimo nel corso delle rispettive campagne elettorali di affrontare le diverse questioni che attanagliano il dibattito attuale e concreto della società statunitense. Ma proprio per la composizione della popolazione USA, sorvolare sulla religiosità del proprio elettorato è un errore da non trascurare; potrebbe costare caro a chiunque qualora se ne dimenticasse. Perché gli evangelici in particolare, il gruppo religioso più numeroso in America, possono decidere le sorti della presidenza e dell’amministrazione federale. E ovviamente gli ebrei. Meno, pure se il numero di fedeli è in costante crescita, i musulmani, anche se ora più che mai sono orgogliosi al tempo stesso di essere cittadini statunitensi e di seguire i precetti di Muhammad, del Corano e degli Hadith, continuando a voler vivere il sogno americano. Insomma, la religione negli USA nel XXI secolo non è destinata a diventare una mera questione privata. Tutt’altro: perno fondante delle politiche governative. E se il trend è quello evidenziato, la religione – pur nel pluralismo – influirà sempre di più nel governo e nell’emanazione delle leggi.