Migliore (IV): “Mettere in sicurezza il sistema sanitario per mettere in sicurezza il sistema economico”

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L’Italia sta facendo i conti con la seconda ondata della pandemia di Covid-19. A preoccupare, tuttavia, non è solo la tenuta sanitaria del paese, ma soprattutto quella economica. Il paese cerca di reagire alla pandemia, mentre l’Unione Europea mette in campo sforzi poderosi. Di questo e non solo parliamo oggi con l’Onorevole Gennaro Migliore, deputato della Repubblica Italiana con Italia Viva.

Onorevole, grazie innanzittutto della disponibilità in un momento così delicato.

Lei è deputato nella circoscrizione Campania 1. Quali saranno, secondo Lei, gli effetti a lungo termine della pandemia di Covid-19 nella Sua circoscrizione e in generale nel Mezzogiorno?

Direi che il bilancio degli effetti, che sicuramente saranno negativi, ancora non si può fare. Stiamo mettendo in campo tutti gli strumenti di prevenzione e contenimento e speriamo siano utili per evitare un ulteriore inasprimento delle misure di salvaguardia della salute.
La situazione attuale si va a sovrapporre a un sistema economico che aveva già molti deficit, a partire da lavoro nero e lavoro informale. Per questa fetta di popolazione c’è una perdita di reddito importante, poiché queste persone non possono contare su strumenti di salvaguardia come ad esempio la cassa integrazione.

Bisogna vedere come funzionerà il Recovery Fund per verificare quali saranno gli effetti di lungo periodo. Oltre alla contrazione della ricchezza, che porterà sicuramente dei danni, bisogna vedere se ci saranno investimenti per la ripresa dell’occupazione. Questo potrebbe farci guardare con più ottimismo al futuro: ma ora bisogna stringere i denti e fare una seria programmazione. Senza programmazione non si può ribaltare il sistema che è in atto nel Mezzogiorno. Se saremo in grado di usare le risorse straordinarie che vengono dall’UE, potrà essere un’occasione di rilancio.

 

Il paese vive una seconda ondata, nei numeri addirittura peggiore della prima. A preoccupare seriamente, però, è la tenuta economica del paese. Quali sono le proposte di Italia Viva per ripartire ed evitare il tracollo economico?

Noi siamo convinti che il motore principale della ripartenza saranno i fondi del Recovery Fund, e vorremmo che fossero sfruttati anche i fondi del MES. Il primo investimento da fare è quello di mettere in sicurezza il sistema sanitario. Se mettiamo in sicurezza il sistema sanitario ora, in futuro eviteremo le eventuali nuovi chiusure.

Le misure di chiusura sono determinate dalla sofferenza del sistema sanitario, sia di quello specializzato sia di quello di base. Le misure per mettere in sicurezza il sistema sanitario sono misure fortemente economiche: non tutelano solo la salute, ma anche evitano la chiusura di attività o la limitazione degli spostamenti.

Inoltre, proponiamo un piano di infrastrutturazione del paese, che noi chiamiamo piano Shock, che oggi sono assolutamente compatibili e fanno parte anche delle linee guida del Recovery Fund. L’infrastruttura da intendersi sia in senso materiale che immateriale: la banda larga per internet, ad esempio, si è dimostrata una priorità per il nostro paese in questo periodo.
Infine, sarà importante ripristinare le capacità di spese della popolazione.

 

Dal settembre 2019, Lei fa parte della Commissione parlamentare affari esteri e comunitari. Come giudica il coordinamento europeo e la reazione dell’Unione alla crisi causata dalla pandemia?

 

Ho visto un coordinamento importante. L’Europa di oggi non è l’Europa di un anno fa. Il MES è stato avvallato, così come il Recovery fund. L’UE ha coordinato un’iniziativa poderosa per sostenere l’economia europea. C’è stata anche una nuova consapevolezza nell’affrontare situazioni che sono obiettivamente drammatiche.

Oggi se non ci fosse questa determinazione, noi saremmo prigioneri e ostaggi dei veti dei paesi, siano essi frugali o di Visegrad, che si sono dimostrati molto pronti nel beneficiare dei fondi europei, ma molto avari nel condividere le responsabilità, a partire da quella legata alla gestione dei flussi migratori.

Siamo a una svolta della storia europea. Non sarà più lo stesso dopo la pandemia. La conseguenza della pandemia è avere più consapevolezza dell’Unione Europea. In altri termini, il tema è: l’Europa non è più una sorta di trappola, si capisce la lungimiranza di chi ha pensato questo straordinario impianto giuridico e normativo plurinazionale proprio all’indomani della più grande tragedia del XX secolo, la Seconda guerra mondiale. Solo oggi, le nuove generazioni comprendono lo spirito di chi ha creato l’UE, che nacque proprio da una crisi drammatica e tragica.

Dal punto di vista delle opportunità e delle reazioni, ho visto un’ottima risposta sia sul piano europeo che mondiale. Tranne alcuni paesi, dove prevale un senso di nazionalismo e negazionismo, come nel caso di un grande paese come gli Stati Uniti, dove Trump ha annunciato che in caso di elezioni licenzierebbe Fauci. Mi auguro che anche per questo, con l’elezione di Biden, gli Stati Uniti possano vedere una nuova stagione.

 

Ieri sera (ndr 2 novembre 2020) siamo stati colpiti dalle immagini provenienti da Vienna. Quali sono i Suoi pensieri al riguardo?

Vorrei fare una considerazione:  l’attentato a Vienna ci colpisce tutti. Io mi occupo di sicurezza e sono presidente della commissione speciale di contrasto al terrorismo dell’assemblea del Mediterraneo. La situazione mondiale è fortemente condizionata dalla presenza della pandemia. Come sta emergendo dalle inchieste, anche l’attentato di Vienna è stato fatto il giorno prima dell’inizio del lockdown a Vienna.

La pandemia ha condizionato negativamente tutti i lati di vita della nostra comunità europea. La pandemia genera una serie di preoccupazioni e sposta molteplici attenzioni, e per i criminali assassini jihadisti può rappresentare un’occasione per rilanciare una strategia del terrore, causando eventualmente una reazione nei paesi occidentali, con una sorta di scontro di civiltà per aumentare il livello di dramma nel quale si trova l’Europa, che è evidentemente sotto attacco.

 

Di recente Lei si è espresso duramente contro il presidente bielorusso Lukashenko e al fianco della popolazione bielorussa. Qual è la posizione del governo italiano in riferimento alla situazione bielorussa e come dovrebbe muoversi l’Unione in questa vicenda?

La posizione italiana è quella di non riconoscere le elezioni farsa e il voto che si è attribuito Lukashenko. Siamo dal lato dei manifestanti, che stanno facendo uno sforzo straordinario di partecipazione democratica. Stiamo parlando di persone che, nonostante le repressioni della polizia, stanno portando avanti delle azioni di protesta non violenta. Abbiamo interloquito con i leader dell’opposizione, alcuni parlamentari italiani li hanno incontrati sia in Bielorussia che all’estero. Abbiamo stimolato, in commissione, il governo italiano a prendere una posizione più dura.

L’Italia ha una posizione molto forte, anche l’UE ha una posizione forte. Evidentemente senza questa posizione anche queste manifestazioni sarebbero più isolate. La presa di posizione però non basta.
L’idea di un’UE forte e compatta, che denunci la violazione in territorio europeo, benché non facente parte dell’Unione, a questi livelli, è un segnale importante.
C’è un tema, cioè i rapporti di vicinato con la Russia, che è stata nel corso di questi anni soprattutto un interlocutore oppositivo dell’Europa e dei valori democratici. Non a caso, la Russia ha immediatamente appoggiato l’oppositore Lukashenko, confermando gli elementi di condanna a carico della Russia rispetto alle ripetute violazioni democratiche.

 

 

Un’ultima domanda, su un tema sul quale Lei si è spesso speso in passato: i diritti civili. Qual è la situazione dei diritti civili in Italia e quali riforme in materia sono a suo parere più urgenti?

Oggi penso che dovremmo affrontare con maggiore solerzia questioni fondamentali, come quella relativa a omotransfobia o al fine vita, alla possibilità delle persone di scegliere in autonomia come compiere questi ultimi passi, specialmente in determinate condizioni. Io sono tra l’altro molto attento e credo sia indispensabile essere rispettoso nei confronti di chi ha un credo religioso e una posizione personale che lo porta a non condividere certi comportamenti, che noi chiamiamo diritti civili.

Ma ciò che chiamiamo diritti civili, significa in realtà: fare sì che a una persona si garantisca una condizione di autonomia, come può essere nel caso delle unioni civili, o del percorso di fine vita, senza che ciò intacchi la libertà di un’altra persona, che non vuole fare questa scelta. Penso all’impossibilità, per molte donne, di interrompere la gravidanza in molte strutture del nostro paese, non sempre per convinzione ma spesso per opportunismo di alcuni obiettori di coscienza. Giusto rispettare le convinzioni degli obiettori di coscienza, ma è ancora più giusto che il servizio pubblico garantisca l’esercizio di questo diritto. I diritti non vanno solo su carta, ma vanno anche praticati giorni per giorno.

In altri termini: quando parliamo di diritti civili, dovremmo ricordare che non sono mai circoscritti nel tempo e nello spazio, ma sono la capacità di un sistema normativo di adeguarsi a quelli che sono i bisogni che emergono.