Dispute territoriali e sanzioni allontanano Ankara dall’Unione Europea
Recep Tayyip Erdoğan, intervenendo in una riunione del partito AKP, ha dichiarato di ritenere la Turchia parte integrante dell’Europa. Il presidente turco ha tuttavia aggiunto che Ankara non tollererà ulteriormente i continui attacchi provenienti da Bruxelles e dai paesi europei.
“Ci riteniamo una componente inseparabile dell’Europa – ha dichiarato il leader turco – ma ciò non significa che la Turchia si piegherà alle continue ingiustizie e al doppio standard applicato dall’Unione. Non crediamo di avere alcun problema con paesi e istituzioni che non possa essere risolto tramite la politica, il dialogo e le negoziazioni”.
Il leader turco ha inoltre invitato Bruxelles a rispettare le proprie promesse in merito alla gestione dei flussi migratori e all’accesso della Turchia nell’Unione. La complessità dei negoziati per l’entrata di Ankara nella comunità europea è emersa fin dal 2005, quando Bruxelles riconobbe ufficialmente la Turchia come paese candidato.
I passi indietro compiuti da Ankara in materia di democrazia, stato di diritto e diritti umani sono stati decisivi per la decisione di bloccare il processo di accesso nell’Unione. Nel giugno 2018 il Consiglio Affari Generali ha deciso di congelare i negoziati con Ankara. L’anno seguente una Commissione del Parlamento Europeo ha ufficialmente richiesto la sospensione delle trattative.
La disputa nel Mediterraneo Orientale
Le parole del presidente turco giungono in un periodo di crescente tensione tra Ankara e Bruxelles. Le attività di trivellazione per la ricerca di gas naturale sono al centro della disputa tra Turchia e Unione Europea. La contesa è nata in seguito della scoperta di ricchi giacimenti di gas naturale nella Zona Economica Esclusiva di Cipro e della Grecia.
La Turchia, contestando l’estensione delle piattaforme continentali dei due paesi europei, ha iniziato attività di esplorazione nel Mediterraneo Orientale con la nave Oruc Reis. Atene ha prontamente reagito richiedendo all’Unione Europea una netta presa di posizione. Il governo greco ha inoltre inviato navi della marina militare nelle aree interessate dalla disputa, scatenando così un pericoloso aumento della tensione nello scacchiere mediterraneo.
Il regime di sanzioni
La struttura del regime sanzionatorio per punire l’attività illegale della Turchia è stata approvata nel novembre 2019. Il congelamento dei beni può colpire sia persone fisiche che società, mentre agli individui sotto sanzioni è impedito l’accesso all’Unione Europea. Inoltre, cittadini e società europee non possono garantire fondi ai soggetti posti sotto sanzioni. Tale regime sanzionatorio, che per il momento è applicato a soli due individui, è stato recentemente esteso fino al 12 novembre 2021.
Le azioni di Ankara sono proseguite nonostante le sanzioni, costringendo Bruxelles a minacciare l’adozione di provvedimenti più drastici. Il prossimo Consiglio europeo discuterà l’imposizione di nuovi strumenti coercitivi. Secondo la stampa, la Commissione Europea avrebbe già preparato una lista di potenziali obiettivi delle sanzioni. Tra i settori che potrebbero essere colpiti dai nuovi provvedimenti spiccano il turismo e i trasporti.
“La Turchia deve comprendere che le proprie azioni la allontanano dall’Unione Europea”, ha dichiarato giovedì scorso il capo della diplomazia europea, Josep Borrell. Anche l’indurimento della posizione tedesca è un utile segnale per comprendere l’aggravamento della posizione turca.
Berlino ha storicamente assunto una posizione più conciliatoria verso Ankara, scontrandosi anche con la linea dura di altri paesi europei, fra cui la Francia. Recentemente, tuttavia, il ministro degli esteri tedesco Heiko Maas ha dichiarato che Berlino sta “perdendo la pazienza” nei confronti di Ankara, segnalando così il netto cambio di rotta della Germania.
E’ impossibile prevedere quale sarà il futuro della disputa nel Mediterraneo Orientale, e l’efficacia di ulteriori sanzioni contro Ankara è ugualmente imprevedibile. L’unica certezza è la crescente diffidenza europea verso la Turchia, il cui cammino di accesso nell’Unione risulta sempre più impervio.