Sono passate poche settimane dall’elezione di Luis Arce a presidente della Bolivia. Tra le prime novità rispetto agli esecutivi di Evo Morales – compagno di partito di Arce e Primo Ministro fino a poco più di un anno fa – l’istituzione di un nuovo dicastero: Il Ministero della Cultura, della Decolonizzazione e della Depatriarcalizzazione, sostituto del precedente Ministero per la Cultura.
Il contesto
La vittoria di Luis Arce arriva in un momento particolarmente teso per la vita politica del piccolo paese andino. A partire dal 2006 la Bolivia è stata guidata da Evo Morales, primo Presidente indigeno e carismatico leader del Movimiento al Socialismo (MAS). I governi di Morales si sono caratterizzati per una netta svolta a sinistra rispetto agli esecutivi precedenti: poderose politiche di welfare, sussidi alle fasce più deboli, allontanamento dalla sfera d’influenza statunitense, nazionalizzazione di alcune riserve di materie prime e – per la prima volta – ingresso della maggioranza indigena nella vita pubblica. Un’azione di governo che ha suscitato grandi entusiasmi in tutto il continente e che ha consacrato Morales come uno dei protagonisti della marea rosa, il ciclo di vittorie della sinistra che ha attraversato il Sudamerica negli anni ‘10 del 2000. Ma non sono mancate critiche e punti oscuri: la destra ha a più riprese accusato il MAS di clientelismo e corruzione, mentre parte del mondo indigeno è scesa in piazza contro lo sfruttamento delle risorse naturali nei loro territori. Particolare scalpore fece poi il referendum del 2017 in cui Morales chiese al popolo boliviano una modifica costituzionale che gli permettesse di ricandidarsi per un quarto mandato. Prevalsero i no, ma Evo – così lo chiamano i suoi sostenitori – fece ricorso e si ripresentò ugualmente alla successiva tornata elettorale.
Tutte queste tensioni sono esplose nel 2019, quando Morales ha vinto per la quarta volta le elezioni generali. Gli sfidanti sconfitti denunciarono brogli, sostenuti nelle loro tesi dall’Organizzazione degli Stati Americani (OAS), ma non da altri osservatori. Dopo settimane di violente proteste culminate nell’ammutinamento dell’esercito, Morales ha firmato le sue dimissioni ed è fuggito prima in Argentina e poi in Messico, dove ha trovato asilo politico.
Il governo ad interim è stato assunto dalla parlamentare di destra Janine Áñez, incaricata di traghettare il paese verso nuove elezioni. La data della consultazione, però, è stata più volte rimandata: causa covid, sostengono i sostenitori della Áñez; per evitare la riconferma del MAS, dice chi sostiene Morales.
Alla fine la Bolivia è tornata alle urne nell’ottobre di quest’anno, e gli elettori hanno ancora una volta premiato il Movimiento al Socialismo. Luis Arce, già Ministro dell’Economia, è stato eletto presidente l’8 novembre.
Il nuovo ministero della Cultura in Bolivia
Il MAS, come tutta la sinistra radicale sudamericana, si è caratterizzato negli anni anche per l’attenzione alle questioni di genere ed etniche. Queste ultime, in particolare, sono notoriamente molto sentite in Bolivia, un paese in cui quasi la metà della popolazione è indigena ma la politica è stata a lungo dominio esclusivo dei bianchi. L’uguaglianza di genere, inoltre, ha conosciuto una nuova popolarità col movimento Nì una Menos (Non Una Di Meno in italiano) nato proprio in Sudamerica.
Tra le critiche rivolte a Morales c’è quella di non aver prestato sufficiente attenzione alle richieste che provengono dal mondo indigeno, nonostante la sua appartenenza etnica. Anche per questo probabilmente Luis Arce ha deciso di aggiungere al Ministero della Cultura le competenze relative a Decolonizzazione e Depatriarcalizzazione. Ma non solo: a capo del nuovo Ministero della Cultura della Bolivia è stata scelta una donna di etnia quechua, Sabina Orellana. La neo-ministra è dirigente della Confederacion Nacional de Mujeres Campesinas Indigenas Originarias de Bolivia “Bartolina Sisa”, la più importante organizzazione di rappresentanza delle donne indigene provenienti dalle aree rurali del Sudamerica.