Cambi di casacca a metà della XVIII legislatura

Pubblicato il 2 Dicembre 2020 alle 10:45 Autore: Riccardo Ricchetti

Articolo 67 della Costituzione

“Ogni  membro  del  Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.”

Siamo al giro di boa della diciottesima legislatura ed è giunto il momento di valutare lo stato di salute dei partiti politici italiani. Quale modo migliore di analizzare i cambi di gruppo?

 

TRA CONTE I E CONTE II

Le attuali Camere si sono insediate il 22 marzo 2018 e, presumibilmente, non verranno sciolte prima della prossima elezione del Presidente della Repubblica nel 2022. In due anni e mezzo, già due governi si sono passati il testimone: il primo targato Movimento 5 stelle-Lega e partorito dopo tre mesi di consultazioni, il secondo formato in fretta e furia da Movimento 5 stelle, Partito democratico, Italia Viva e Liberi e Uguali.

Il fenomeno dei cambi di gruppo è rimasto contenuto durante l’esecutivo giallo-verde, per poi scoppiare con quello giallo-rosso. Da marzo 2018 alla crisi di agosto 2019, infatti, i passaggi sono stati solo 28, la metà dei quali determinati dalla creazione del gruppo di Liberi e Uguali.

Il cambio di passo è avvenuto a inizio settembre 2019, con la nascita del governo Conte II. In quell’autunno, il Parlamento e, in particolare, il gruppo del Partito Democratico furono sconvolti dalla comparsa di Italia Viva. La nuova compagine politica guidata da Matteo Renzi ha salassato principalmente il partito di Zingaretti, ma ha anche attirato parlamentari da quasi tutti gli schieramenti, Movimento 5 stelle e Forza Italia inclusi.

Da allora il Movimento 5 Stelle, il Partito Democratico e Forza Italia hanno continuato a perdere terreno, Fratelli d’Italia, Italia Viva e Liberi e Uguali sono rimasti pressoché stabili, mentre la Lega e il Gruppo Misto hanno rimpinguato le loro fila. Dunque anche in questa legislatura il trasformismo parlamentare continua a farla da padrone.

LETTURA DEI DATI

I dati esposti, aggiornati al 30 novembre 2020, sono stati raccolti da Openpolis Parlamento e dai siti ufficiali della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.

Per non complicare ulteriormente la lettura dei dati, i cambi di gruppo considerano esclusivamente i passaggi veri e propri tra i gruppi parlamentari, senza quindi conteggiare le cessazioni dall’incarico e le sostituzioni. L’unico grafico che tiene in considerazione questo dato è quello relativo all’evoluzione del numero dei parlamentari dei principali partiti politici (grafico n. 1). Infine, appariva troppo confusionario l’esame delle variazioni interne al Gruppo Misto, le quali possono essere comunque analizzate nei grafici riguardanti la composizione delle due Camere (grafici n. 4 e 5).

 

I NUMERI DELLA LEGISLATURA

Nonostante la tendenza crescente degli ultimi mesi del 2020, i numeri dell’attuale legislatura sono ancora ben lontani da quelle passate: 138 cambi, 132 parlamentari coinvolti. Basti pensare che i passaggi nel precedente Parlamento erano schizzati a quota 569, portati a termine da 348 parlamentari. Un dato record senza precedenti nelle legislature dal 1994 ad oggi.

La durata ordinaria di una legislatura è di 5 anni, ma spesso le vicende politiche provocano lo scioglimento anticipato delle Camere, come avvenuto per la XII e la XV legislatura. Di conseguenza, è necessario confrontare i dati non solo in termini di valore assoluto, ma anche in rapporto ai mesi in cui deputati e senatori sono rimasti rispettivamente a Montecitorio e Palazzo Madama.

Così si scopre, ad esempio, che in soli due anni la XII legislatura ha segnato un vero e proprio primato: circa 12 cambi di gruppo al mese. L’attuale Parlamento è fermo ad una media di passaggi mensili di 4,31, molto vicino al dato del quinquennio 2008-2013. Secondo questo tipo di analisi, la legislatura più stabile è stata la XIV, con una media di 1,35. Erano i tempi del trionfo di Silvio Berlusconi e del bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra: un’era geologica fa.

 

FLUSSI ALLA CAMERA

Al 30 novembre 2020, i deputati ad aver cambiato gruppo parlamentare almeno una volta rispetto all’inizio della legislatura sono 90. Nonostante ciò, la maggioranza di governo per il momento non traballa.

Partendo da sinistra, il gruppo di Liberi e Uguali ha perso due deputate, Michela Rostan e Giuseppina Occhionero, a favore di Italia Viva e l’ex presidente Laura Boldrini a favore del PD. Il gruppo ha poi visto l’arrivo solo dell’onorevole del M5S Rina De Lorenzo, lasciando il numero sostanzialmente invariato.

Come già anticipato, l’evento che ha determinato l’aumento dei cambi di gruppo è stato la creazione di un nuovo gruppo parlamentare – Italia Viva – che ha sottratto al Partito Democratico una consistente truppa di onorevoli (25), poi ridotta a 24 con il ritorno di Nicola Caré tra le file dei democratici. Oltre ai deputati del PD, si sono aggiunti alle pattuglie renziane Gabriele Toccafondi e Catello Vitiello, provenienti dal Gruppo Misto; Rostan e Occhionero, provenienti da Liberi e Uguali; Davide Bendinelli e Francesco Scoma, provenienti da Forza Italia, per un totale di 30 deputati.

Il Partito Democratico ha subito ingenti perdite che, oltre a quelle già menzionate verso Italia Viva, contano Daniela Cardinale, andata in direzione del Gruppo Misto. Al contempo, il gruppo si è rinforzato numericamente con gli ingressi di Boldrini e dei deputati del Misto Beatrice Lorenzin, Serse Soverini e Santi Cappellani (eletto con il Movimento 5 Stelle).

Sul fronte del Movimento 5 Stelle si assiste a una débâcle: nessun nuovo acquisto e 27 fuoriusciti da marzo 2018, di cui 25 in direzione del Misto, uno – Matteo Dall’Osso – verso Forza Italia e Rina De Lorenzo verso LeU.

Passando al panorama del centrodestra, Forza Italia ha ridotto la propria presenza di 8 deputati a favore del Misto, di cui uno – Enrico Costa – ne era già membro ad inizio legislatura, 2 migrati verso Italia Viva, Galeazzo Bignami per Fratelli d’Italia e 5 sono entrati nel Carroccio. In particolare, l’abbandono da parte di Laura Ravetto, Federica Zanella e Maurizio Carrara ha scatenato le ire del Cavaliere e innescato uno scontro interno alla coalizione non ancora totalmente risolto.

Le truppe della Lega hanno dovuto fare a meno soltanto di Carmelo Lo Monte a favore del Misto, a fronte degli acquisti azzurri e cinquestelle.

Anche il gruppo di Fratelli d’Italia, dopo l’arrivo di Bignami e dei deputati del Misto Salvatore Caiata e Davide Galantino (ex M5S), ha visto Maria Teresa Baldini fare le valigie e in più un seggio perso a seguito di riconteggio.

Nel complesso, il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico mostrano un saldo negativo, rispettivamente -27 e -21 rispetto all’inizio della legislatura. Ad aver meno deputati sono anche Forza Italia (-13) e LeU (-2). Rimane stabile Fratelli d’Italia (+1), mentre Lega (+5) e il Gruppo Misto (+16) sono in crescita.

 

MOVIMENTI AL SENATO

Palazzo Madama è stato l’incubo di tanti esecutivi e quello giallo-rosso non fa eccezione: è per questo che Italia Viva qui esercita un potere contrattuale ancora maggiore su M5S e PD. Dall’inizio della legislatura ad oggi, 42 senatori hanno cambiato gruppo di appartenenza.

Avventurandosi a sinistra dell’emiciclo, non troviamo Liberi e Uguali che, non avendo numeri sufficienti per costituire un gruppo autonomo, rientra nel Gruppo Misto.

Italia Viva, che al Senato comprende anche il Partito Socialista Italiano, conta 18 onorevoli: Riccardo Nencini dal Misto; 14 dal PD, Matteo Renzi compreso; Vincenzo Carbone e Donatella Conzatti dal partito di Berlusconi; Gelsomina Vono, fuoriuscita dal Movimento 5 Stelle.

Il Partito Democratico, oltre ad un seggio perso a seguito di riconteggio, ha dovuto rinunciare ai senatori Matteo Richetti e Tommaso Cerno in direzione del Misto.

A seguire, il Movimento 5 Stelle, tra espulsi ed emigrati, ha perso parecchi senatori, la maggior parte passati al Gruppo Misto (11) e 4 agli ex alleati di governo (Ugo Grassi, Stefano Lucidi, Alessandra Riccardi e Francesco Urraro). L’unica new entry nel gruppo dei 5 Stelle, Emma Pavanelli, ha occupato un seggio che non era stato assegnato per un problema di applicazione del Rosatellum.

Voltandosi a destra, la Lega ha guadagnato 5 senatori: si tratta dei 4 provenienti dal Movimento 5 Stelle già menzionati e della ex forzista Elena Testor. Forza Italia, invece, ha salutato, oltre a Testor, Carbone e Conzatti, 4 senatori in direzione Misto (Paolo Romani, Gaetano Quagliariello, Massimo Vittorio Berutti e Alessandrina Lonardo). Nessun cambio per Fratelli d’Italia e un senatore in arrivo dal M5S, passato dal Misto, per il piccolo gruppo delle Autonomie.

Tirando le somme, i gruppi del Senato maggiormente colpiti sono il Partito Democratico (-17), il Movimento 5 Stelle (-17) e Forza Italia (-7). Mentre Fratelli d’Italia rimane saldamente a 18 senatori e le Autonomie aumentano di un’unità, la Lega (+5) e il Gruppo Misto (+18) aumentano la propria forza.

 

FOCUS: IL DIVIETO DI MANDATO IMPERATIVO

Dopo tutti questi numeri, grafici e analisi c’è da chiedersi: è giusto che i parlamentari possano passare liberamente da un gruppo all’altro? In altre parole: sì o no al divieto di mandato imperativo?

Il divieto di mandato imperativo o rappresentativo compare per la prima volta nella Costituzione francese del 1791: “I rappresentanti eletti nei dipartimenti non saranno rappresentanti di un dipartimento particolare, ma della nazione intera, e non potrà essere conferito loro alcun mandato”. Un’idea che era già stata elaborata anni prima dal Cicerone britannico, Edmund Burke, il quale affermava che «il Parlamento non è un congresso di ambasciatori di opposti e ostili interessi che ciascuno deve tutelare come agente o avvocato; il Parlamento è assemblea deliberante di una nazione, con un solo interesse, quello dell’intero, dove non dovrebbero essere di guida interessi e pregiudizi locali, ma il bene generale». Il modello francese è stato poi ricalcato dalle varie costituzioni moderne europee, in particolare dal nostro Statuto Albertino e successivamente dalla Costituzione del 1948, che all’articolo 67 recita: “Ogni  membro  del  Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.

Dopo quasi 230 anni, in tutte le democrazie rappresentative occidentali i parlamentari, ancorché rappresentanti degli elettori, sono dai loro stessi elettori svincolati. Questo perché? Il punto è che il termine rappresentanza ha due diversi significati, a seconda che sia usato in senso privatistico o pubblicistico. Da un lato, lo schema del mandato civilistico era alla base dei “parlamenti” dell’ancien régime, dal momento che ciascun gruppo sociale mandava i propri delegati al fine di vedere sanciti i propri interessi davanti al Re, e presupponeva un rapporto giuridico tra parlamentare ed elettorato.

Con le Costituzioni giacobine il mandato dei rappresentanti passa dal piano giuridico a quello politico. “La rappresentanza pubblicistica – spiega Vittorio Emanuele Orlando nel 1889 – è solo una designazione di capacità, è l’indicazione di persone capaci, solo questo e null’altro. Affinché i capaci possano decidere per il meglio nell’interesse dell’intera collettività è indispensabile che ne sia assicurata la piena libertà, sia dagli elettori che dai partiti.”

Il dibattito sull’attualità del divieto di mandato imperativo ha recentemente trovato spunti con il Movimento 5 Stelle, da sempre favorevole all’abolizione di tale principio. Ed è proprio su quest’onda che, nella scorsa legislatura, il Senato ha provveduto a introdurre alcune disposizioni che potrebbero contribuire a limitare il fenomeno del transfughismo parlamentare.

Il nuovo regolamento prevede, fermo restando il requisito numerico, che il gruppo parlamentare debba altresì “rappresentare un partito o un movimento politico, anche risultante dall’aggregazione di più partiti o movimenti politici, che abbia presentato alle elezioni del Senato propri candidati con lo stesso contrassegno, conseguendo l’elezione di senatori. Ove più partiti o movimenti politici abbiano presentato alle elezioni congiuntamente liste di candidati con il medesimo contrassegno, con riferimento a tali liste, può essere costituito un solo Gruppo, che rappresenta complessivamente tutti i medesimi partiti o movimenti politici”. Il Consiglio di Presidenza, inoltre, non potrà più autorizzare la costituzione di gruppi con meno di dieci iscritti, ad eccezione dei senatori delle minoranze linguistiche. Infine, è stabilito che i Vicepresidenti e i Segretari d’aula, che entrino a far parte di un gruppo diverso da quello al quale appartenevano al momento dell’elezione, decadono dall’incarico.

I correttivi adottati dalla nostra Camera Alta potrebbero ridurre la mobilità tra i gruppi parlamentari, ma sta di fatto che la crisi del quadro partitico italiano non può essere imputata ai meccanismi costituzionali, bensì al continuo passaggio tra leggi elettorali inadeguate.

Se il Parlamento appare sospeso e incapace di svolgere le proprie funzioni, i frequenti cambi di gruppo certamente non aiutano, anzi restituiscono un’immagine confusionaria al singolo cittadino. Cosa prevarrà nel bilanciamento tra interessi contrapposti? La libertà di deputati e senatori o le logiche di partito?