La lunga e travagliata relazione tra il PPE e Fidesz
Il 3 marzo, come già riportato da Election Day in questo articolo, si è consumata la rottura tra il PPE e Fidesz. Il Primo ministro ungherese Viktor Orbán ha annunciato che i deputati del suo partito lasceranno il Partito Popolare Europeo. Questo segna l’ultimo capitolo nella lunga saga tra la più grande famiglia politica europea e la combattiva compagine ungherese.
Le origini di Fidesz
Il Fiatal Demokraták Szövetsége (Alleanza dei Giovani Democratici), da cui l’acronimo Fidesz, è stato fondato nella primavera del 1988. Nato in maniera semi-illegale grazie ad attivisti studenteschi liberali che si opponevano al regime comunista, il quale si stava ormai avviando verso il tramonto. Fino alla riforma del regolamento interno del partito del 1993, i suoi membri avevano un limite massimo di età di 35 anni. Fidesz rimane all’opposizione fino al 1998, quando entra nella coalizione di governo e, grazie al 29,4% dei voti ottenuto alle elezioni, riesce ad esprimere il nome del Primo ministro, il 35enne Viktor Orbán.
Il partito si era già spostato su posizioni via via sempre più conservatrici a seguito della deludente sconfitta nel 1994. Questo pur continuando però a rimanere nell’Internazionale Liberale. Soltanto nel 2000 Fidesz decide di abbandonare qualsiasi reflusso “liberista” ed abbracciare a pieno il conservatorismo tipico della destra europea, entrando a far parte del PPE.
La sconfitta e il ritorno al governo
Con la sconfitta elettorale del 2002 si innesca un cambiamento radicale del partito. Orbán dall’ opposizione lancia un movimento nazional-populista per sostenere Fidesz chiamato “Avanti, Ungheria”. Una seconda sconfitta elettorale per il partito nel 2006 porta soltanto ad un’accelerazione di tale cambiamento. In un discorso ormai famoso del 2009, pronunciato in una riunione del partito a porte chiuse, Orbán esprime la necessità di stabilità politica in Ungheria, chiedendo la creazione di un “campo di forza politico centrale” che avrebbe governato il Paese per i prossimi 20 anni. Una visione che pare realizzarsi con il ritorno al potere nel 2010 con una maggioranza tale da permettere a Fidesz di modificare la costituzione ungherese.
Il PPE dopo il crollo del Muro di Berlino
Per comprendere il rapporto tra il PPE e Fidesz si deve innanzitutto capire cosa diventa il partito europeo con i grandi riassestamenti politici post-1989 e poi guardare alla Germania.
Il PPE nasce dalla democrazia cristiana, che era una caratteristica prominente del panorama politico dell’Europa occidentale dopo il 1945. A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta sono molti i sommovimenti che portano a cambiamenti nella politica nazionale dei vari Stati membri dell’Unione Europea, ai quali il PPE si adatta iniziando piano piano ad allontanarsi dalla sua “purezza” democristiana. Ad esempio, nel 1989 un riallineamento della destra in Spagna crea il Partito Popolare, guidato da José Mariá Aznar, che si unisce al PPE. La caduta del Muro di Berlino, l’unificazione della Germania e il crollo dell’Unione Sovietica ne hanno poi accelerato l’espansione.
L’espansione del PPE dopo la fine della Guerra Fredda
Gli spiriti trainanti sono il cancelliere tedesco Helmut Kohl e il primo ministro belga Wilfried Martens, presidente del partito dal 1990 al 2013. Sotto la sua presidenza anche il nuovo partito Forza Italia di Silvio Berlusconi, entra a far parte del PPE, non senza remore però da parte di Kohl e Martens. Questo perché non si poteva ignorare il fatto che Berlusconi avesse creato un’alleanza di governo coi separatisti della Lega e i post-fascisti di Alleanza Nazionale.
Il PPE si sforza quindi per includere al suo interno partiti non democristiani, ma che alla fine portano avanti un’ideologia simile. Così nel giro di pochi anni si cerca di attirare tutti quei partiti conservatori, di centrodestra ed economicamente liberali di tutta l’Europa centrale e orientale, in previsione anche degli allargamenti dell’UE nel 2004 e nel 2007. Uno di loro era per l’appunto Fidesz.
Dal punto di vista dei numeri, il progetto è un successo. Il PPE, che nel 1989 era rimasto indietro di 60 seggi rispetto al gruppo socialista al Parlamento europeo, diventa la forza dominante a Bruxelles. Conquistando un quasi monopolio sulle nomine alle presidenze della Commissione (dal 2004 in poi tutti appartenenti al PPE) e del Consiglio europeo.
La CDU/CSU e Fidesz
L’ultimo grande partito di tradizione democristiana rimasto in Europa dopo il la fine della Guerra Fredda è l’Unione Cristiano-Democratica di Germania (abbreviato CDU in tedesco) assieme alla gemella Unione Cristiano-Sociale in Baviera (CSU). La CDU/CSU è anche la principale forza del Parlamento europeo per numeri, nonché la spina dorsale del PPE. Niente si muove nel grande partito europeo senza l’avallo della compagine tedesca. Negli anni Fidesz ha potuto usufruire dello strapotere tedesco per non subire conseguenze concrete in seguito alle proprie azioni.
Ma perché la CDU/CSU ha sempre difeso il partito ungherese?
Non vi è una risposta univoca a questo quesito. Un motivo può essere la paura che una volta espulso, Fidesz possa creare un fronte sovranista/populista in grado di mettere in crisi la posizione dominante del PPE. Un’altra spiegazione può ritrovarsi negli stretti rapporti che intercorrono a livello economico-industriale tra l’Ungheria e la Germania, in particolare la Baviera. Le grandi aziende tedesche, come Audi e VolksWagen, sono tra i maggiori investitori nello Stato magiaro e rappresentano circa un terzo della produzione industriale ungherese, dando lavoro a migliaia di persone.
Per anni, i democristiani tedeschi hanno difeso Orbán, anche quando l’ungherese violava apertamente i valori europei per consolidare la sua presa sul potere. I legami sono molto profondi e risalgono a diversi anni fa. Helmut Kohl, padre della riunificazione tedesca e democristiano, considerava Orbán il suo protetto. Al funerale di Kohl nel 2017, non era originariamente previsto che parlassero né la cancelliera tedesca Angela Merkel né il presidente Frank-Walter Steinmeier, Orbán sì.
I bavaresi difendono Fidesz
Il leader magiaro ha sempre potuto contare soprattutto sui rappresentanti bavaresi, che hanno rappresentato per lui un baluardo contro le critiche del resto d’Europa. Anche quando Orbán si è scontrato apertamente con Angela Merkel sulla politica migratoria, all’ungherese è stata assicurata la fedeltà dei bavaresi, che sono stati anche apertamente critici nei confronti dell’approccio della cancelliera sulla migrazione. Soltanto il cambiamento nella leadership della CSU del 2019, che ha inaugurato una generazione più giovane sotto Markus Söder (già presidente della Baviera dal 2018), ha innescato una rivalutazione nei rapporti con Fidesz, di cui forse gli eventi del 3 marzo sono una conseguenza.
Si deve, infine, evidenziare il fatto che tra il 2009 e il 2019 il partito magiaro ha rafforzato il proprio peso specifico all’interno del PPE. Infatti, a fronte di una perdita di seggi, passati da 264 a 185, Fidesz è riuscito a mantenere praticamente inalterato il proprio numero di parlamentari (da 14 a 13). In tutto ciò, il baricentro del PPE si è fortemente spostato verso est. Questo perché i grandi partiti, come i Repubblicani francesi e i moderati di Forza Italia, hanno perso negli ultimi anni gran parte dei loro consensi.
L’escalation degli ultimi 10 anni tra il PPE e Fidesz
Dal ritorno al potere di Orbán in Ungheria nel 2010 all’uscita del suo partito dal PPE di qualche giorno fa, sono stati diversi i momenti di crisi tra Budapest e Bruxelles e, parallelamente, tra il partito europeo e la sua compagine magiara.
Nel gennaio 2011 Orbán tiene un discorso di fronte al Parlamento europeo, che marcava l’avvio della prima presidenza di turno del Consiglio dell’UE dell’Ungheria. Ma l’occasione viene oscurata dal dibattito sulla controversa creazione a Budapest di una potente autorità dei media, compreso un “consiglio dei media” i cui membri erano stati tutti selezionati da Fidesz.
In base alle nuove regole, i media dovevano registrarsi presso l’autorità ed erano tenuti a pubblicare contenuti ritenuti “equilibrati”. Diversi parlamentari si presentano in quell’occasione con del nastro adesivo sulla bocca, mostrando copie di un giornale ungherese, in segno di protesta. Tra quelli non vi è, però, l’allora leader del PPE, Jospeh Daul, che applaude Orbán alla fine del suo intervento.
Il PPE sottovaluta il fenomeno Orbán
Al momento delle elezioni del leader magiaro del 2010, molti politici europei lo vedevano ancora come un riformatore anticomunista. La sua vittoria elettorale aveva deliziato molti nella leadership del PPE, compreso per l’appunto Daul. Molti ritenevano in quegli anni che il fenomeno ungherese fosse ancora controllabile e che parte della dura retorica nazionalista e anti-europea fosse dovuta a motivi di politica interna.
Questo in contrasto a Jobbik, partito estremista di destra anti-UE, considerato anti-semita e anti-rom in quegli anni. Infine, le critiche di Budapest alle politiche europee non andavano mai a colpire l’edificio comunitario in quanto tale. L’Ungheria aveva forse una visione di un’Europa “á la carte”, ma pur sempre europeista rimaneva.
La crisi migratoria
La pazienza del PPE con Orbán continua così per anni, anche quando questi prende di mira i gruppi della società civile, attacca i media e tiene elezioni criticate dall’OSCE. Neanche quando nel 2015 l’Ungheria, assieme ai Paesi Visegrad, si rifiuta di prendere parte al sistema di redistribuzione dei migranti, il PPE è in grado di andare oltre delle mere dichiarazioni e intraprendere azioni nei confronti di Fidesz. Risale sempre al 2015 il video, diventato virale, in cui l’allora Presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, accoglie Orbán chiamandolo “dictator” e dandogli un buffetto sulla guancia.
Il rapporto Sargentini
Una prima sfaldatura tra il PPE e Fidesz arriva nel settembre 2018, quando circa metà dei parlamentari appartenenti al PPE votano a favore del cosiddetto rapporto Sargentini, che avvia la procedura per l’attivazione dell’articolo 7 TFUE contro l’Ungheria. Una parte degli eurodeputati del PPE (che si presentano alla votazione senza un’indicazione di voto da parte del gruppo) ritengono che si debba tenere una linea dura, votando a favore dell’art. 7 e procedendo all’espulsione di Fidesz dal gruppo parlamentare; altri, come l’allora Presidente dell’europarlamento Antonio Tajani, tengono una linea più morbida e minimizzano le violazioni ungheresi.
L’allora spitzenkandidat del PPE, Mark Weber, tiene invece una linea più flessibile. Vota a favore del rapporto, non negando che vi siano in Ungheria gravi problemi di Stato di diritto. Ritiene allo stesso tempo che essi vadano risolti con una discussione costruttiva all’interno del partito senza allontanare il leader ungherese dal PPE.
La campagna contro Juncker e Soros
I rapporti sono poi andati deteriorandosi, fino ad arrivare ad un primo punto di rottura nel 2019, quando il governo ungherese prende di mira uno dei politici più importanti del PPE: il Presidente della Commissione Juncker. In una campagna pubblicitaria finanziata dai contribuenti ungheresi, Juncker è stato accusato, insieme all’imprenditore ungherese-americano George Soros (che peraltro aveva finanziato gli studi di Orbán ad Oxford), di architettare i piani di migrazione che “minacciano la sicurezza dell’Ungheria”.
Per molti nel partito, criticare Juncker in questo modo è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Perciò sono arrivate crescenti pressioni da parte dei membri per espellere Orbán dal partito. Ma ancora una volta la leadership bavarese è accorsa in difesa di Orbàn, riuscendo a mediare un compromesso in base al quale Fidesz è stato soltanto sospeso.
Dalla sospensione all’abbandono
La sospensione, che ha avuto scarso impatto sulla cooperazione quotidiana tra il partito ungherese e la famiglia conservatrice, è stata poi prolungata a tempo indeterminato nel febbraio 2020 su proposta del Presidente del PPE, Donald Tusk, per le preoccupazioni sullo Stato di diritto in Ungheria e per la retorica anti-UE. L’arrivo della pandemia da COVID-19 e la decisione del parlamento ungherese di conferire al premier Orbán i pieni poteri non hanno fatto altro che far aumentare le voci autorevoli, interne al Partito Popolare Europeo, a favore di una definitiva espulsione di Fidesz e l’avvio di una procedura d’infrazione nei confronti dell’Ungheria.
L’ultimo episodio risale, infine al dicembre 2020, quando Tamás Deutsch, capo delegazione di Fidesz a Bruxelles, ha paragonato i commenti di Weber agli slogan della Gestapo e della polizia segreta ungherese dell’era comunista. Molti parlamentari popolari a quel punto, stanchi delle continue provocazioni del partito di Orbán, hanno ritenuto non più sufficiente la semplice sospensione di singoli deputati. Ecco allora che ha preso campo l’idea di modificare il regolamento del PPE per poter agire su intere delegazioni nazionali. Tutti questi eventi hanno portato ai fatti del 3 marzo con la fine della relazione tra il PPE e Fidesz dopo 21 anni.